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Artista, a me lo sguardo

Da Giovanni Pisano a Tiziano, da Ingres a Martini: un’antologia dello sguardo nell’arte

​Elena Pontiggia
Quanti sono gli sguardi indimenticabili nella storia della pittura e della scultura? Tanti, e dire tanti è troppo poco. Si potrebbe pensare che il tema si sia sviluppato col Romanticismo, quando si acuisce l’interesse per la psicologia e i sentimenti dell’io. Certo, la constatazione di Victor Hugo (“Nei romanzi d’amore si è parlato talmente di sguardi, che adesso ce ne vergogniamo”) vale anche in campo artistico, ma in realtà gli uomini hanno sempre avuto due occhi. E se l’attenzione ai moti dell’animo e la fisiognomica, che studia i caratteri del volto, iniziano col Cinquecento, opere impostate sullo sguardo – uno sguardo così eloquente da diventare il centro della composizione – si possono trovare nell’arte di tutti i secoli.
Pensiamo a quello che Gesù rivolge a Giuda nella Cattura di Cristo, 1303-1305, dipinta da Giotto agli Scrovegni. È talmente intenso che, per descriverlo, si può solo ricorrere a un altro versetto del Vangelo: «Gesù lo guardò e lo amò» (Mc 10,21). Il versetto si riferisce al giovane ricco, ma Giotto col suo genio ce lo mostra anche nel drammatico incontro dell’Orto degli Ulivi. Pensiamo, ancora, allo sguardo diritto come una freccia che lega Maria e il Bambino nelle sculture di Giovanni Pisano. Suo è anche il volto di Margherita di Lussemburgo nell’omonimo monumento funebre, oggi al museo di Sant’Agostino a Genova. Margherita era la moglie di Arrigo VII, l’imperatore in cui Dante riponeva tante speranze, ed era morta nel capoluogo ligure nel 1311, due settimane prima di Natale. Giovanni la ritrae tra un volo da angeli che la portano in Paradiso, col volto soffuso dalla beatitudine celestiale di chi vede Dio. È forse la prima estasi dell’arte occidentale e una delle prime rappresentazioni, in quei secoli, della morte intesa non come terrore, ma come felicità e rinascita.
Di tutt’altro genere, cioè concretissimo e non privo di una calcolata astuzia, è lo sguardo del Ritratto d’uomo di Antonello da Messina, 1465, oggi al museo Mandralisca di Cefalù. Vincenzo Consolo, nel Sorriso dell’ignoto marinaio, lo descrive così: «Un sorriso ironico, pungente e nello stesso tempo amaro, di uno che molto sa e molto ha visto, sa del presente e intuisce del futuro; di uno che si difende dal dolore della conoscenza e da un moto continuo di pietà». L’uomo, in realtà, come dimostra la sua veste elegante, non era affatto un marinaio. Studi recenti l’hanno identificato addirittura con Francesco Vitale da Nola, segretario di Ferdinando il Cattolico e vescovo di Cefalù. In ogni caso è magistrale la capacità di Antonello di annullare l’ambiente e di riassumere la figura in un contrasto di bianco e nero, dando il massimo risalto alla sua espressione: quella di un uomo rinascimentale che pone l’uomo al centro del mondo.
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