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Angelo di nome e di fatto

La santità fu un tratto di Roncalli evidente a tutti, un elemento caratteriale sintetizzato dall’epiteto popolare di “Papa buono” ma fondato sul rapporto quotidiano e profondissimo con la preghiera

​La canonizzazione di Giovanni XXIII fu auspicata già ai tempi del Concilio. Fra i primi vescovi alzatisi nell’aula conciliare a chiedere che, alla fine del Vaticano II, papa Giovanni fosse acclamato santo subito, ci fu un giovane vescovo polacco: Bohdan Bejze. La proposta rimase sospesa, ma due arcivescovi scesero dai seggi e si andarono a congratulare con Bejze. Uno era Stefan Wyszyński. L’altro Karol Wojtyła: lui e Roncalli saranno proclamati santi insieme. Ricordo l’allora vicario capitolare di Cracovia. Lo rivedo come fosse ieri: agile e signorile, amabile e sereno; due occhi cerulei e il sorriso disegnato sulle labbra, da indurci ad applicargli l’elogio riferito a papa Roncalli: «Due occhi e un sorriso, bontà fatta persona».Cosa significasse davvero per Angelo Giuseppe Roncalli essere santo lo spiegò lui stesso ad appena ventisei anni durante una conferenza per il terzo centenario della morte del cardinale Baronio: «Sapersi annientare costantemente, distruggendo dentro e intorno a sé ciò in cui altri cercherebbero argomento di lode innanzi al mondo; mantener viva nel proprio petto la fiamma di un amore purissimo verso Dio, al di sopra dei languidi amori della terra; dare tutto, sacrificarsi per il bene dei propri fratelli, e nell’umiliazione, nella carità di Dio e del prossimo seguire fedelmente le vie segnate dalla Provvidenza, la quale conduce le anime elette al compimento della propria missione: tutta la santità sta qui». A queste regole Roncalli si è attenuto per tutta la sua vita. Pubblica e privata. Prima e dopo il suo approdo al servizio petrino......

di Loris Francesco Capovilla

cardinale, già segretario di papa Giovanni XXIII