Wiligelmo e la Creazione di Eva
Wiligelmo (Guglielmo) fu uno degli scultori e architetti più creativi dell’Undicesimo secolo. Si suppone facesse parte dell’abile schiera dei lapicidi comacini. Un’epigrafe in latino del duomo di Modena recita: «Inter scultores quanto sis dignus onore, claret scultura nunc Wiligelme tua». Ovvero: «Quanto tra gli scultori tu sia degno di onore, è evidente ora, o Wiligelmo, per la tua scultura». Sono sue, infatti, le quattro lastre scolpite a bassorilievo che narrano la Genesi, poste sulla facciata della cattedrale. Si discute quale fosse la loro collocazione originaria. Alcuni studiosi suppongono facessero parte del pontile (elemento architettonico interno alla chiesa simile all’iconostasi), altri, come chi scrive, ritengono che Wiligelmo volle scolpire le lastre proprio per l’esterno, essendo stato egli stesso, e non Lanfranco, autore dell’intera facciata.
Nel modulare dei pannelli colpisce la soluzione utilizzata dall’autore per la creazione di Eva. Le prime due scene della creazione, infatti, obbediscono a un modulo verticale: il Dio creatore, col volto di Cristo, regge un libro con la scritta Lux ego sum mundi, via verax, vita perennis, ossia «Io sono la luce del mondo, la via vera, la vita perenne». Le cornici della mandorla in cui è inscritto, sapientemente intagliate, riflettono la luce, dando corpo e senso alla verità enunciata dal testo. Adamo è creato in piedi, posizione scomoda e unica rispetto alle creazioni coeve del progenitore. L’obbedienza al modulo verticale narra anche una verità teologica: Adamo, ovvero l’uomo-umanità (significato proprio del nome ebraico), a differenza degli altri esseri viventi sta davanti a Dio come un “Tu”. Una concezione teologica che san Tommaso, più tardi, condenserà in una sentenza mirabile: l’uomo è capace di Dio.
Nella creazione di Eva, Wiligelmo abbandona il modulo verticale, e costruendo la scena su linee diagonali la movimenta, esaltando così l’aspetto narrativo.
Eva, infatti, chiamata da Dio alla vita, sorge da una costola di Adamo mentre questi, come insegna il dettato biblico, è avvolto in un sonno profondo, adagiato su rocce bagnate dalle acque dell’Eden. Lo sguardo simbolico dell’uomo medievale coglieva perfettamente i significati nascosti nei dettagli dell’opera. Le prime scene sono incorniciate da quattro arcate, dove una segna la presenza del Dio Uno e le altre tre segnano l’atto creativo del Dio Trino che dà vita ad Adamo ed Eva. Il sonno che colpisce Adamo è chiamato nella Bibbia tardemah, un sonno mistico che coglie l’uomo ogni qualvolta si avvicina al Mistero del Creatore. È un sonno spesso oppressivo atto a esprimere la condizione del limite umano. Adamo è oppresso da una dolorosa solitudine: le bellezze del Creato che Dio gli ha consegnato non saziano la sete di relazione impressa nella sua carne dalla somiglianza con il Dio Uno e Trino. Così Dio esplode in quella commovente espressione: «Non è bene che l’uomo sia solo».
Colei che è simile ad Adamo proviene da una misteriosa particella umana, tselè, tradotta dai Padri della Chiesa come “costola”, e imparentata con una interpunzione muta, tselà, che compare nel testo biblico ogniqualvolta ci si trova di fronte a un passo misterioso da contemplare. Così lo sguardo stupito di Eva, mentre esce dal corpo di Adamo, narra con grande efficacia il mistero della comune umanità con Adamo voluta dal Creatore. Il piede di Dio, come in altre opere medievali, tocca il piede di Adamo sottolineando la vocazione dell’uomo a esperire la realtà. I piedi poi sono un eufemismo per indicare i genitali, entro i quali Dio ha nascosto il seme della vita. La donna, invece, è la vita stessa (Eva cioè Ivvah in ebraico) ed è tenuta da Dio per mano. Ella è l’ultimo essere creato e nel mistero della sua origine, ignota ad Adamo, si nasconde l’inviolabilità della vita. Così il linguaggio innovativo di Wiligelmo apparentemente rozzo ed essenziale, “in-segna” all’umanità il Mistero della sua dignità insopprimibile.