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Un gioiello di luce e roccia

​La chiesa di Santo António, con gli edifici parrocchiali, che segnaliamo con questa breve nota, realizzata fra il 1993 e il 2008 a Portalegre, in Portogallo, dall’architetto João Luís Carrilho da Graça, meriterebbe ben altre riflessioni, poiché si è rivelata un’architettura eccelsa fra quelle progettate negli ultimi decenni. Un’opera che si è imposta all’attenzione della critica per la qualità del manufatto, per la forza del registro linguistico e l’invenzione tipologica. Caratteristiche, queste, che nell’ambito del confronto sullo spazio “sacro” la pongono come esemplare per la radicalità delle scelte al cospetto dei grandi modelli del passato (battisteri, basiliche e cattedrali) che attraverso una storia plurisecolare hanno testimoniato un percorso artistico, di fede e di cultura che ha via via plasmato l’identità stessa della vecchia Europa. Ancora oggi non è possibile affrontare una storia dell’architettura senza considerare i temi del sacro, interpretati con i linguaggi, gli stili e le tecniche degli autori che, attraverso i secoli e le differenti declinazioni, si sono misurati con l’architettura ecclesiale.
La cultura moderna e contemporanea della seconda metà del XX secolo si è immersa appieno dentro il giogo della globalizzazione pagandone le conseguenze ed evidenziandone le conseguenti fragilità. Ma, nella storia, il “costruire” si è sempre configurato come un’attività strutturale, capace di testimoniare le tracce del nostro vivere e delle nostre speranze.
Rendiamo quindi onore al merito a questa architettura di Carrilho da Graça che, ai nostri tempi, nel bel mezzo della società dei consumi, ha saputo realizzare questo tempio significativo, riportando l’architettura a una «funzione dello spirito in cui l’architetto si proietta investendo lo spazio di profondi significati esistenziali; e in questo senso ci permette di riconoscere l’architettura come luogo di rivelazione del sacro quotidiano, resistendo all’alienazione che Heidegger designò come oblio dell’essere» (João Norton de Matos). Questi sono valori che riconosciamo come propri della cultura del nostro tempo, che ancora riescono a testimoniare in maniera sincera le aspirazioni del vivere quotidiano.
L’architettura, forse più di altre forme espressive quali la pittura o la scultura, riesce a trasformarsi in specchio della nostra storia: il processo necessario per divenire una realtà costruita coinvolge aspetti economici, sociali e culturali che riflettono necessariamente il nostro essere oggi cittadini del mondo. L’insieme ecclesiale di Portalegre definisce una nuova realtà compositiva con differenti gerarchie fra spazi “servienti” e spazi “serviti”. L’ampio sagrato esterno si trasforma in uno straordinario pronao d’ingresso. Disegnato come se fosse una grande aula a cielo aperto diviene il cuore della composizione, e non una semplice area di transito; la sua spazialità dialoga otticamente con il fronte trasversale vetrato dell’aula assembleare che, a sua volta, quasi fosse un palcoscenico rinvia, in profondità, a un’ulteriore scenografia: la roccia del terreno come fondale compositivo.
È l’intera sequenza della narrazione liturgica che viene evidenziata attraverso una composizione minimalista. Il linguaggio usato dal­l’architetto, con le ampie superfici murarie bianche (proprie della cultura portoghese) e le suggestive pareti vetrate trasversali, riduce la composizione plastica all’indispensabile. Mai come in questa chiesa è appropriata l’osservazione più volte citata di Mies van der Rohe che, in architettura, “less is more”. Le pause, i silenzi e le articolazioni fra i differenti brani architettonici di questo racconto liturgico diventano preziosi alleati per apprezzare la qualità degli spazi offerti.