Un Cristo francescano nel Giudizio di Guido
Sono più le incertezze che le notizie storiche su Guido da Siena, artista cui è attribuita la tavola del Giudizio Universale custodita nel Museo Archeologico e d’Arte Sacra di Grosseto. Considerato inizialmente uno dei primi pittori senesi del Duecento a causa di una data, 1221, presente sulla tavola della Maestà firmata dal Maestro, oggi la critica è unanime nel riconoscere l’artista attivo attorno al 1270, datando il nostro Giudizio universale al 1280. Eresie, pestilenze, invasioni, l’alta mortalità infantile e altri fattori rendono, in quel secolo, il tema della salvezza e del Giudizio quanto mai attuale e urgente. Dall’inizio del XII secolo fino alla fine della rinascenza l’iconografia del Giudizio Universale conoscerà un grande sviluppo nell’arte.
La tavola del Museo grossetano presenta, in alto, la grande scena del Cristo giudice con i quattro angeli dell’Apocalisse che suonano le trombe e, sotto, il Giudizio ove le anime, lasciato il sepolcro, si avviano verso un destino di gloria o di dannazione eterna. La presenza di san Francesco nel registro inferiore colloca l’opera nell’ambiente della predicazione francescana, impegnata da sempre nella lotta contro le eresie e i mali costumi.
Una croce bruna e leggerissima disegna i limiti dei due diversi ambiti spaziali. Il Cristo redentore volge il capo verso la sua destra, verso, cioè, il lato dei beati. Anche gli angeli musicanti hanno qui colori squillanti come il bianco e il rosa. Avvolto in una mandorla di cielo con una gradazione di azzurri che ne suggeriscono la profondità, il Cristo siede su un arcobaleno dai toni rosati come l’abito dell’angelo che, in alto a sinistra, per primo annuncia la salvezza. Se a tutti il Salvatore mostra le piaghe delle mani e dei piedi, solo ai salvati offre la sorgente zampillante che sgorga dalla ferita del costato. Alle spalle di Gesù, giusto Giudice, verso la sommità della mandorla, si scorge la canna con la spugna imbevuta d’aceto, mentre a destra sta la lancia di Longino che gli ha trafitto il costato. Sulla croce sono evidenti i chiodi, il flagello appeso, la brocca dell’acqua dove Pilato si lavò le mani e la secchia dell’aceto.
In tutto questo sorprende e commuove il volto del Cristo che, pur piegato verso il lato dei salvati, si volge verso di noi guardando verso i perduti. Gli occhi mesti del Salvatore sembrano implorare l’uomo ad accogliere il suo sacrificio e supplicare che non passi invano, senza giungere a compiere quella salvazione per la quale fu attuato.
Legame narrativo fra i due registri, oltre alla sagoma nera della croce, è la scritta che corre sul fondo: surgite mortui, venite ad iudicium. All’annuncio angelico rispondono le azioni narrate nel registro inferiore che racchiude quattro settori, due a destra e due a sinistra.
In basso si levano i morti dalle tombe. Alla destra del Cristo Giudice, un gruppo di beati, con san Francesco in testa, si dirige verso il Salvatore. Scorgiamo un vescovo, un religioso, una monaca e un gruppo di laici. Più sopra, una scala porta tutti in Paradiso accolti da san Pietro: dietro al santo di Assisi si distingue un martire con la veste bianca lavata nel Sangue dell’Agnello.
Dall’altra parte una scena oscura anticipa quella perduta gente cantata più tardi dal poema dantesco. La sequenza di lettura è qui rovesciata. In alto si risvegliano i morti, che a differenza di quelli a sinistra sono tutti nudi e tradiscono nelle espressioni il dramma di vedersi spogliati della loro dignità di figli di Dio. Essi precipitano inesorabilmente nello scomparto sottostante dove vengono torturati e ingoiati da terribili demoni, dal dragone infernale e dal serpente antico.
In pochi tratti l’autore ci restituisce il sapore della predicazione del tempo ma anche la grande speranza offerta dalla misericordia divina. L’ambito della committenza della tavola fu, del resto, quello di una Confraternita della Misericordia che, nel chiamare a conversione, avrà predicato la grande speranza francescana: portare tutti in Paradiso, con la promessa di perdono legata all’indulgenza della Porziuncola.