St. Paul, la capitale senza gente
Aerei camminamenti fra gli edifici contro il terribile freddo invernale, una solitudine quasi assoluta, scarsi pedoni frettolosi: St. Paul appare come una città segreta, misteriosamente indifferente. Capitale del Minnesota, lo “Stato dei diecimila laghi”, è oggi molto meno conosciuta della sua gemella Minneapolis, costruita sull’altra sponda del Mississippi, il grande fiume che scende maestoso verso gli Stati del Sud, ma che nasce nel grande Nord, ai confini con il Canada. Nella città bassa abitavo in una delle antiche fabbriche ottocentesche trasformate in piccoli appartamenti. Un ballatoio interno correva lungo l’intero edificio di sette piani, affacciato su una rigogliosa serra e coperto in alto da una spessa vetrata. Al pianterreno c’erano distributori di cibi e bevande, e una volta alla settimana un caffè mattutino con croissant, per essere più difesi dal gelo esterno, che poteva scendere fino a quaranta gradi sottozero.
Una malinconia indescrivibile mi coglieva nelle sere troppo precoci: fuori, non un’anima; dentro, ciascuno stava rintanato nella sua piccola intimità, attaccato al telefono, ai libri, alla televisione… Ma certe mattine, quando si usciva, com’era bello! Nella piazza davanti alla casa si teneva ogni sabato il “Mercato dei contadini”, affollato di gente chiassosa che vendeva e comprava di tutto, carne e formaggi, verdure e marmellate, bambole di pezza e grembiuli cuciti dalle donne nei lunghi giorni invernali. Dietro l’angolo un’altra piazza era stata trasformata in un piccolo parco, dotato perfino di un ruscelletto artificiale che arrivava fino a un chiosco di ferro battuto dove d’estate si tenevano piccoli concerti. Niente negozi però, niente gente in giro: intorno alle piazze non si trovava che un ristorante giapponese chiamato Tampopo, un venditore di succhi di frutta affacciato a una finestrella al pianterreno e un emporio-spaccio di alimentari gestito da un gentile egiziano, con i ripiani di legno ruvido, un pessimo caffè e un unico, modesto scaffale di verdura.
Ma la chiesa di San Luigi re di Francia era uno splendore neogotico, con le bellissime vetrate ricche di colori e di riverberi luminosi anche nel più buio giorno d’inverno, a perenne memoria di quando la città era un forte a guardia dei passaggi sul fiume e un coraggioso prete, Lucien Galtier, le diede il nome di san Paolo: «Breve – così disse – facile da ricordare, compreso da tutti».
di Antonia Arslan