Raffaele Pe «C’è il Natale nella croce»
Pierachille Dolfini
L’impressione potrebbe essere quella di un fuori sincro. Tra immagini e sonoro. Come al cinema, quando salta la pellicola. Le immagini sono quelle potenti, di una dolcezza estatica, di Lorenzo Lotto e della sua Adorazione dei pastori. Il suono è quello siderale e senza tempo dello Stabat Mater di Antonio Vivaldi. «Che io, però, suggerisco di ascoltare come se fosse una musica di Natale. Non intrisa del dolore della Croce, ma della certezza di una Salvezza promessa» dice Raffaele Pe. Due icone del Vangelo. L’inizio e la fine. L’alfa e l’omega della vita terrena di Cristo.
Il controtenore lodigiano sceglie due opere d’arte apparentemente agli antipodi per raccontare il “suo” suono del sacro. «Un dipinto del 1530 e una partitura del 1627 che hanno continui, inaspettati rimandi. Seppur concepiti in tempi diversi, a cento anni di distanza tra loro. Due opere accomunate – spiega il musicista – da un luogo, Brescia, dove vennero concepite. Lì Lotto dipinse la scena della capanna di Betlemme. Lì Vivaldi, che arrivava nella città lombarda dopo aver lasciato il Pio Ospedale della Pietà a Venezia, dove insegnava violino, scrisse la pagina sul dolore di Maria sotto la croce in una fase di piena maturità espressiva». E a Raffaele Pe piace pensare «che Vivaldi possa aver visto l’Adorazione dei pastori di Lotto. E se non proprio visto, almeno respirato quell’atmosfera artistica, quell’umanità che Lotto mette nel Bambino che gioca con l’agnello dando alla scena una verità lombarda un po’ nebbiosa». Perché c’è tanta umanità in questa tela «dove i due committenti sono ritratti nei panni dei pastori e dove il blu del mantello di Maria è lo stesso blu del cielo, un blu che evoca eternità. Cielo sotto il quale Vivaldi colloca la sua Maria». Una madre addolorata, questa volta. Ma umanissima anche lei, come i personaggi di Lotto. Un’altra connessione, dunque. «Perché anche Vivaldi nella sua musica cerca di umanizzare il canto, di raccontare miseria e semplicità dell’uomo» riflette Pe che racconta che quando si è avvicinato per la prima volta allo Stabat Mater del compositore veneziano si è chiesto «come poter dare voce al dolore di questa madre. E ho pensato – spiega – a suoni in piano e pianissimo rispetto a quelli forti cui saremmo portati a pensare per uno Stabat Mater che dipinge in musica la scena del Calvario, racconta lo strazio e il dolore di Maria». Uno strazio che, dice il controtenore, «diventa strumento di Salvezza. Per questo vedo nella bellissima pagina vivaldiana una maternità dolce, natalizia, in una prospettiva che ribalta completamente la tradizione medievale – da cui viene la sequenza dello Stabat Mater – di una Pietà che urla tutto il proprio dolore». Nella richiesta “Eja Mater, fons amoris, / me sentire vim doloris / fac, ut tecum lugeam” l’auspicio «di sentire lo stesso dolore di Maria rivela una sofferenza che porta con sé quasi una serenità, la stessa del bambino che indifeso si abbandona tra le braccia della madre».
Stessa immagine dello Stabat, stessa immagine della Pietà con Maria che accoglie tra le braccia il corpo senza vita del figlio. Quelle stesse braccia che lo hanno cullato. Vivaldi non chiude la sua pagina sul Quando corpus morietur, non evoca la morte del corpo, ma sul Fac ut ardeat, sull’amore che infiamma il cuore. «Una scelta non casuale, una riflessione che diventa teologica, tanto più che il compositore scrive lo Stabat Mater per l’Oratorio dei Filippini di Brescia, una congregazione che ha sempre trovato nella musica uno dei vertici della riflessione spirituale».
Dimensioni, quella artistica e quella spirituale, inscindibili anche per Vivaldi che, ricorda Pe, «iniziò la sua carriera di compositore proprio in concomitanza con la sua ordinazione sacerdotale». Un mondo sonoro, il suo, «sempre inaspettato, sorprendente, istintivo, moderno. Non solo. Tutto interiore». Con lo stesso “sapore” dell’Adorazione dei pastori di Lotto «dove è palpabile una serenità di fondo». Che, in perfetto sincro con la musica del Calvario di Vivaldi, ti dice: «Non avere paura».