Luoghi dell' Infinito > Michele Spotti Con Verdi dentro il lato oscuro

Michele Spotti Con Verdi dentro il lato oscuro

​Non è solo perché è un frate. Ma il Grande Inquisitore, quello del Don Carlo di Giuseppe Verdi, suggerisce a Michele Spotti una sacralità inquieta, sinistra.
«Sacralità che Verdi mette in molti suoi personaggi, soprattutto affidati al registro di basso. Non per forza figure di religiosi: penso allo Sparafucile del Rigoletto, un sicario, un delinquente, ma con una sua morale – evidentemente discutibile, sia chiaro – che porta avanti con inquietante coerenza. E la musica, con i suoi toni cupi, lo racconta benissimo» riflette il direttore d’orchestra lombardo, classe 1993. Una passione nata grazie alle lezioni di musica della nonna, una carriera in rapida crescita. Don Carlo – meglio Don Carlos, perché sul leggio aveva la versione francese – Spotti lo ha affrontato per la prima volta a Basilea. «Un controfagotto, il legato dei violoncelli e la risposta dei contrabbassi. Ecco l’atmosfera che ci introduce in quel duetto tra Filippo II e l’Inquisitore che è un unicum nella storia dell’Opera». Un confronto serrato tra due bassi, cuore politico – nell’annoso dibattito dei rapporti tra Stato e Chiesa – dell’opera più politica (insieme al Boccanegra) di Giuseppe Verdi. È qui che Michele Spotti rintraccia quel suono del sacro «che si fa concreto nella sacralità di cui è intrisa la figura dell’Inquisitore, raccontato dal­la musica di Verdi. Atmosfere cupe, a tratti lugubri, che il compositore ricrea attraverso un’abile orchestrazione». Atmosfere che il direttore ritrova nella Scena dell’Inquisizione, dipinto del 1812 di Francisco Goya, «per me il pittore che più di tutti può essere avvicinato a Verdi, il più simile al compositore per il temperamento del racconto, per la capacità di creare contrasti emotivi con le pennellate di colore che in Verdi sono pennellate di musica».
Goya ha raccontato l’Inquisizione, anche nella Marcia dei condannati «dove le persone che vengono condotte al patibolo mi ricordano i sei deputati fiamminghi dell’opera verdiana» riflette Spotti, tornando poi con la mente al duetto tra Filippo II, «Verdi ci racconta i suoi dubbi con una musica sul crinale, instabile», e l’Inquisitore. «Nel testo ispirato a Schiller e soprattutto nella musica c’è una tensione latente, che potrebbe esplodere da un momento all’altro. Emozioni trattenute che poi deflagrano, lo racconta benissimo la musica, evocando lo scontro tra potere politico e potere religioso, in quel grido del re: Dunque il trono piegar sempre dovrà all’altare». Un duro confronto dove l’Inquisitore, anziano e cieco, non si spoglia mai di quella sacralità che Spotti rintraccia nella musica di Verdi. «Quella musica racconta un sottile equilibrio che in un attimo deflagra in una tempesta emotiva che Verdi racconta con tremolii veloci di strumenti acuti come il flauto e l’ottavino, ai quali risponde cupo il timpano, un battere i pugni sul tavolo dell’Inquisitore che chiede e riesce a ottenere quello che vuole, la testa del marchese di Posa, il confidente politico del re».
Una figura inquietante, certo, quella dell’Inquisitore, «che Verdi, attraverso la sua scrittura musicale, disegna come un elemento di forte connessione tra umano e divino» dice Spotti, che ritrova certe atmosfere cupe e melmose di Verdi «nei dipinti di Goya dove ci sono contrasti di colori appena visibili, dove c’è una luce gotica, abbagliante, che non ti fa vedere bene ciò che sta succedendo». Le tele sull’Inquisizione, ma anche il celeberrimo Saturno che divora i suoi figli. Un’altra similitudine con Verdi e il suo Don Carlo – e con quello letterario di Schiller, non quello storico, certo. «Perché in Saturno rivedo Filippo II che vuole togliere tutto al figlio Carlo, l’amore di Elisabetta, l’amico di infanzia Posa e il trono». Colori cupi, immagini terrifiche in Goya, «una forza estrema nella musica del Don Carlo, dove tornano continuamente echi della Messa da Requiem. E dunque una musica intrisa di sacralità che evoca, provoca una catarsi, un’introspezione, un silenzio interiore che porta chi ascolta quel suono del sacro a riflettere su se stesso».