Michelangelo e la scala spirituale della Vergine
Allevato a Settignano, allattato dalla moglie di un tagliapietre, Michelangelo soleva dire d’aver acquisito la vocazione di scultore col latte succhiato nella sua infanzia. Così la Madonna della Scala, scolpita da un Michelangelo sedicenne, rende evidente la sua chiamata a far vivere i soggetti dalla pietra. Se quest’opera mostra l’assoluta adesione del giovanissimo scultore alla tecnica dello stiacciato di Donatello, rivela però la volontà di trovare un linguaggio proprio, in aperta rottura con l’anziano e celeberrimo maestro. Il volto della Vergine, infatti, pur sbalzando appena dal blocco di pietra suggerisce il tutto tondo, tanto che parrebbe naturale vederla volgere il capo verso di noi. La luce passa vibrando sulle scalfitture della pietra e rende vivo il soggetto narrato, diversamente da Donatello che invece, con grande maestria, lascia trapelare la luce dalla materia stessa, come si vede nella sua Madonna col Bambino (Madonna Dudley), conservata al Victoria and Albert Museum di Londra.
La contrapposizione fra la statuaria rigidità del cubo, sopra il quale siede la Vergine Madre, e la scala, contribuisce a suggerire la profondità dello spazio illusorio dove si muovono giocosi alcuni putti. A dispetto delle dimensioni (55x40 cm), l’opera possiede una monumentalità e un’imponenza notevoli, date soprattutto dal fatto che la Madonna occupa quasi per intero lo spazio, lasciando libero il piccolo vano della scala. Uno spazio stretto che invita a entrare nel Mistero. E, di fatto, il soggetto iconografico della scala chiama ad entrare nel Mistero dell’Incarnazione e, nel contempo, ad ascendere verso la meta che il Figlio di Dio addita.
Il simbolo della scala appartiene alla cultura spirituale e religiosa del monachesimo. Da san Benedetto a san Giovanni Climaco (detto, non a caso, della Scala), l’ascesi spirituale, con i suoi gradini segnati dalla semplicità e dall’umiltà, accompagna la vita spirituale dei monaci verso la santità. Il simbolo ebbe poi nuovo impulso nel XII secolo, quando giunse dal mare al monastero della Valle a Messina un’effige misteriosa in cui la Vergine, con la mano destra posta sul cuore, additava con la sinistra ai suoi devoti una scala.
La scala, dove gli angeli salgono e scendono, è quella della visione biblica del patriarca Giacobbe, ripresa da Gesù nel dialogo con Natanaele, visione che prefigura la sua Incarnazione e il suo innalzamento sulla croce.
Michelangelo in quest’opera giovanile mostra già la sua geniale capacità interpretativa: la postura di Gesù Bambino sembra suggerita, come evidenziato dal recente restauro, da una venatura del marmo. Partendo da questo dato di fatto Michelangelo scolpisce Gesù di schiena e vinto dal sonno, narrando così la veridicità della sua natura umana. Il braccino abbandonato sulle ginocchia della Madre lascia presagire la morte, rimandando a quel braccio che l’artista scolpirà tanto nella Pietà vaticana che nella più matura Pietà Rondanini. Il gesto protettivo di Maria nell’abbracciare il Figlio fa invece intuire il presentimento della stessa Madre circa il destino di croce che attende il Messia.
I putti, che sono stati spesso interpretati come citazione della donatelliana cantoria di Santa Maria del Fiore (immagine a pagina 14), sono in realtà mutuati dalla visione biblica di Giacobbe. Essi, non a caso, danzano giocosamente con un lungo drappo, prefigurazione di quel telo sindonico che annuncia già la Risurrezione.