Luoghi dell' Infinito > Mattino di Pasqua a Nauplia

Mattino di Pasqua a Nauplia

​Riaffiorano da non so dove, da misteriose profondità della memoria, questi due brevi versi: «Usciva dal cuore del Sabato Santo / la donna che me l’ha dato». E insieme ricompare una scena festosa, in un mattino luminoso pieno di luci, colori, suono di campane: il giorno di Pasqua in Grecia, a Nauplia nel Peloponneso, in una primavera ventosa di tanti anni fa.
Fu un viaggio strano e bello. Il tempo fu variabile e capriccioso: ci capitò perfino una spruzzata di neve mentre attraversavamo l’Arcadia, un nome associato di solito a brezze gentili e armonie pastorali... E mi torna anche in mente, precisa, quel­l’improvvisa sensazione di freddo pungente e vento inaspettato che ci colpì con forza nella corriera sgangherata dell’autista Dimitri, baffuto e allegro, seduto nel suo confortevole sedile con la schiena protetta da cuscini ricamati, vezzose tendine a incorniciare il finestrino laterale e tante immagini di santi appese davanti.
E noi: un gruppo di studenti universitari di primo e secondo anno, pieni di curiosità verso quella terra tanto sognata e convinti - ahimè quanto a torto! - che non sarebbe stato poi tanto difficile capire la lingua, e anche farsi capire. Eravamo partiti da Venezia su una navicella chiamata Afroditi, che con la meravigliosa dea non aveva alcuna somiglianza: era un’autentica carretta dei mari, vecchia, ridipinta un mucchio di volte, fabbricata a Liverpool negli anni Venti del Novecento (ce ne accorgemmo da una targhetta semicancellata in un angolo del ponte superiore, e ci parve una bellissima scoperta). Aveva fiancate altissime, e oscillava a ogni brezza che era un piacere. Quando affrontammo il canale d’Otranto si mise a ballare vistosamente, e tutti dovettero affrontare il mal di mare. Io, che non ne ho mai sofferto, per evitare le facce verdognole degli amici mi rifugiai su una sedia a sdraio all’aperto: era notte e faceva un freddo maledetto... E così presi un brutto raffreddore, che mi tormentò per tutto il viaggio.
Ma la Grecia mi affascinò per sempre. Avevo letto (e riletto) con passione il Viaggio nella Grecia antica di Cesare Brandi, e l’avevo portato con me. Il paese era ancora simile a quello da lui descritto, con l’ospitalità semplice e gentile, la filoxenía che veniva diritta dal cuore della gente. Spavaldamente, Dimitri ci portò a spasso per le strade allora molto primitive del Peloponneso, finché puntualmente - come promesso - arrivammo a Nauplia, allora una cittadina sonnolenta, il giorno di Pasqua, in tempo per la fine della cerimonia nella cattedrale. Là ci accolsero le donne coi rami di ginestre fiorite di limpido giallo e tonde focacce pasquali con l’uovo rosso in mezzo; e poi ci invitarono tutti a mangiare con loro.
E io finii abbracciata a un donnone allegro con un sorriso enorme anche se un po’ sdentato, che mi prese per un braccio e mi trascinò in casa sua, cominciando a parlare - in un italiano grezzo ma comprensibile - della guerra e del soldato italiano che aveva conosciuto, “tanto buono e tanto bello”, disse con gli occhi pieni di lacrime. Parlammo a lungo, mangiammo insieme e diventammo amiche. Ero un po’ triste, allora, e lei mi rallegrò il cuore. Ci fu scambio di indirizzi, e poi molte lettere, negli anni; e una poesia che la ricorda, e che oggi è riaffiorata, con la gioia di quel giorno meraviglioso.