L’Odigitria e il romanzo di Sofonisba in Sicilia
Maria Gloria Riva
Una storia affascinante si nasconde dietro alla Madonna dell’Itria, una storia che da Costantinopoli, nell’VIII secolo, rimbalza fino alle sponde della Sicilia e a una nobildonna cremonese, pittrice del XVI secolo. La devozione della Madonna Odigitria, colei che in-segna il Figlio, trova le sue radici in Sicilia e in un evento miracoloso occorso a Costantinopoli durante l’assedio arabo del 717-718. Per scongiurare la disfatta, due monaci dell’ordine di san Basilio, presa la sacra icona dell’Odigitria proveniente da Gerusalemme, la strinsero fra due tavole come in una cassa e la ostentarono alla vista della flotta nemica. Si scatenò improvvisa una tempesta che sommerse i nemici e salvò la popolazione. I soldati siciliani di stanza a Costantinopoli, rientrando in patria, portarono con sé per devozione copie dell’Odigitria. Essi, come narra Antonino Mongitore in un testo sulla devozione mariana a Palermo datato 1719, chiesero fosse raffigurata sostenuta su una cassa da due “Caloiri che nel mare hanno i piedi”. Caloiri, Caloieri o Calogeri è il nome con cui i greci chiamano i loro monaci: letteralmente i “buoni vecchi”, cioè coloro che invecchiano bene a causa della loro fede e delle loro virtù.
Così i Calogeri campeggiano anche in una pala del XVI secolo, rielaborazione del tema della Madonna dell’Itria, attribuita alla figura di Sofonisba Anguissola. Sofonisba nacque da un’aristocratica famiglia cremonese nel 1532. A differenza di molte giovani del suo rango, le quali dipingevano per passione, ella fece della pittura la sua professione, sostenuta dallo stesso padre che volle le sue figlie e il suo unico maschio impegnati nella cultura e nell’arte. Fu tale il successo di Sofonisba che, entrando a servizio del re Filippo II, potè provvedere materialmente al fratello Asdrubale. Votata alla carriera artistica si sposò per procura, quarantenne, con il nobile siciliano Fabrizio Moncada. Il matrimonio durò cinque anni poiché il marito, pure a servizio di Filippo, trovò la morte in un attacco di pirati il 27 aprile 1578. Furono anni difficili, in cui anche un’epidemia di peste si abbatté sulla Sicilia. Proprio a causa della peste i coniugi Moncada decisero di far realizzare un quadro dedicato alla Madonna dell’Itria quale ex voto per il cessato flagello. Sembra che la pala, iniziata da un artista locale, fosse completata da Sofonisba con le figure del Bambino e della Madonna – nel cui volto ritrasse se stessa –, e dal marito con alcune parti dello sfondo come il mare, il cielo e il paesaggio.
La morte di Fabrizio avvenne a pala ormai completata e parve forse un presagio a Sofonisba l’essersi dipinta nei panni della Vergine che, aggrappata al Figlio, guarda verso di noi come scossa da un fremito: il divino Infante alza la mano benedicente verso il cielo quasi a indicare una misteriosa volontà di Dio scritta là sullo sfondo dipinto da Fabrizio, dove due caravelle scosse dal vento sembrano in pericolo. Un corteo processionale, guidato dal vescovo, da due diaconi e da cantori implora l’intercessione di Maria.
Il potente patrocinio della Vergine non giunse a salvare il coniuge e a sollevare la vedova dalla sua solitudine, tuttavia non un velo di amarezza sembra trapelare dalle parole scritte dalla donna prima di lasciare l’isola e tornare a Cremona accompagnata da Asdrubale. Si legge nell’atto di donazione del dipinto: “Constructum et factum in tabula per eandem dominam donatricem et dittum quondam dominum don Fabricium eius virum”: costruito e realizzato su tavola dalla stessa donatrice e dal fu signor don Fabrizio, suo marito. Sofonisba lasciò il dipinto ai francescani conventuali con il legato di una Messa per il defunto marito nell’anniversario della morte e ogni martedì in onore della Madonna dell’Itria. L’opera rimase nella chiesa di San Francesco di Paternò a memoria di una fede incrollabile anche di fronte alle avversità.