Le mani e lo sguardo di un monaco nel cuore
Il mio primo incontro con Giovanni Battista Montini, futuro Paolo VI, avvenne quando ero novizia nell’abbazia di Viboldone ed egli, quale arcivescovo di Milano, veniva a visitare la nostra comunità rivolgendoci parole brevi ma profonde e molto incisive, anche per il timbro della voce e l’intensità dello sguardo. Si sentiva che aveva grande stima della vita monastica e una spiccata affinità con la spiritualità benedettina. Oserei dire che era monaco nel cuore. Bellissimi i suoi discorsi ai monaci! Fu una gioia quando, nei primi anni della nostra fondazione sull’Isola San Giulio, ci chiesero di fare la traduzione di suoi testi in latino. Ne estraggo solo una frase: «In umiltà di cuore, senza posa, il monaco ricerca il volto del suo Signore e vuole che tutta la propria vita trascorra e si consumi alla sua presenza e per lui» (8 dicembre 1968). Da giovane aveva frequentato la comunità benedettina maschile di Chiari (Brescia) e avrebbe desiderato entrarvi, se il suo vescovo non lo avesse trattenuto… Dio aveva su di lui un altro disegno.
Ricordo ancora con commozione l’ultimo saluto che ci diede prima di andare a Roma per il Conclave; ebbi il presagio che non sarebbe tornato indietro, ma non dissi nulla, perché provavo insieme sofferenza e gioia. Perciò la notizia della sua elezione mi fece rendere grazie a Dio tra le lacrime.
Il nome da lui scelto rivelava la sua affinità con il grande Apostolo delle genti. Estremamente delicato d’animo, aveva – si potrebbe dire – l’umiltà di Giovanni Battista e l’amore appassionato di san Paolo. C’era qualcuno che vedeva sul suo viso un velo di mestizia: non era una vena di pessimismo, ma un forte senso di partecipazione al mistero della Croce per la salvezza del mondo. E il suo pontificato fu davvero la sua immolazione, poiché coincise con gli anni difficili della contestazione dentro e fuori della Chiesa. Si spiega perciò il fatto che egli fosse talvolta incompreso e anche vilipeso.
Avendo collaborato per la nuova edizione della Bibbia e dei libri liturgici secondo le norme del Concilio Vaticano II, nel 1970 insieme ad alcuni prelati fui accolta in udienza privata; io mi sentivo un pulcino, ma non posso dimenticare l’intensità del suo sguardo su di me e la forte e affettuosa stretta delle sue sante mani – che trattenevano le mie – mentre diceva: «Grazie! Grazie!». Lui, il Vicario di Cristo, ringraziava me, ringraziava tutti! Quando, nella festa della Trasfigurazione del 1978, il Signore lo chiamò a Sé, nella mia comunità si fece un grande silenzio. Io rimasi a vegliare fino a tarda notte come se mi trovassi accanto alla sua salma, ma pensandolo già trasfigurato accanto al Cristo glorioso.
Paolo VI è stato, posso dire, il papa del mio cuore…, il prediletto. Sono felice di sapere che presto sarà riconosciuta la sua eroica santità, vorrei persino dire: il suo martirio di amore per la Chiesa e per tutta l’umanità.
di Anna Maria Cànopi