Le Corbusier a Ronchamp
L’impegno di questa rubrica tesa a documentare lo spazio del “sacro” nelle architetture del nostro tempo, mi ha portato a re-incontrare la più sconcertante opera presente nella produzione artistica di Le Corbusier, la cappella di Notre-Dame du Haut, realizzata oltre mezzo secolo fa sull’omonima collina a Ronchamp, poco lontano da Belfort, in Francia.
Nella cultura del Moderno quest’opera rappresenta, senza ombra di dubbio, una testimonianza di grandissima attualità, in grado di veicolare sentimenti ed emozioni che riconciliano il visitatore con una forma di spiritualità che si era via via affievolita negli insidiosi meandri del progresso tecnico, poi sfociato nella cosiddetta globalizzazione.
Un’architettura, quella di Ronchamp, che conserva una forte attualità; testimone dei valori, delle memorie e delle speranze che spazio, luce e gravità riescono ancora a comunicare. Al momento della consegna dell’opera realizzata alla comunità, Le Corbusier annotava: «Costruendo questa cappella, ho voluto un luogo di silenzio, di preghiera, di pace, di gioia interiore, il sentimento del sacro ha animato la nostra fatica. Certe cose sono sacre, altre no, siano esse o non siano religiose. […] Qualche segno sparso e qualche parola scritta dicono le lodi della Vergine. La croce – la vera croce del supplizio – è sistemata in quest’arca; ormai il dramma cristiano ha preso possesso di questo luogo. […] Consegno questa cappella di cemento leale, intrisa forse di temerità, certamente di coraggio, con la speranza che trovi in coloro che saliranno sulla collina un’eco a ciò che noi tutti vi abbiamo inscritto».
La lucidità del pensiero dell’architetto riassume mirabilmente gli obiettivi e gli elementi costitutivi dell’opera. L’organizzazione sapiente, articolata e precisa modella uno spazio che irradia una “gioia interiore” mediata da un percorso che nella croce trova la ragione più profonda del proprio esistere. La spiritualità dell’architetto viene radiosamente declinata come impegno sociale e civile; costruire la casa di Dio è un modo per parlare della casa dell’uomo. La lezione di Le Corbusier, carica di una straordinaria potenza emotiva, fa piazza pulita della complessità e delle interferenze continue, proprie delle trasformazioni in atto nel nostro vivere, che condizionano, e spesso alterano, lo spirito dello spazio architettonico.
La sintesi creativa attuata nell’opera di Ronchamp riafferma la centralità dello spazio nell’organizzazione della vita dell’uomo. La luce genera spazi e forme offrendo emozioni che condividono la stessa potenza, intensità, semplicità e intelligenza costruttiva delle chiese del romanico. Notre-Dame du Haut resta un documento che riappacifica il passato con il presente, la disarmante meraviglia dell’atto poetico trova ragione nel vivere collettivo. Le Corbusier ricorda: «Cinque giorni prima dell’inaugurazione viene portata la croce a misura umana. Da quel momento Ronchamp cessa di essere una costruzione, un cantiere. Rompendo il silenzio dei muri, la croce proclama la più grande tragedia vissuta una volta su una collina in Oriente. […] Il lavoro è compiuto. Avvenga ciò che può avvenire».
L’architettura moderna si riconcilia pienamente con lo spirito del grande passato; l’architettura ecclesiale ritrova la forza espressiva che ne ha connotato le origini.
di Mario Botta