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La via Francigena da Siena alla Tuscia

​Da Siena eccoci di nuovo in strada per la trentaquattresima giornata, di oltre 25 chilometri.
Ci portiamo addentro nella Valdarbia, solcata appunto dal torrente Arbia che, come attesta Dante, si colorò in rosso durante la terribile giornata della battaglia di Montaperti, il 4 settembre 1260. Dal Triventum della “Croce del Travaglio”, incrocio tra la Francigena e l’antica via, di probabile origine etrusca, che attraversava l’area provenendo dall’Appennino, si segue il tracciato della Via consolare Cassia che provenendo da nord diretta a Roma attraversa la Toscana da Firenze e che ha costituito la colonna vertebrale dell’insediamento urbano di Siena, veramente “figlia della strada”. Dopo Isola d’Arbia e la sua bella chiesetta romanica si perviene a Grancia di Cuna, a metà del XII secolo sede di un ospizio che nel 1224 venne acquisito dall’Ospedale di Santa Maria della Scala e divenne una fattoria fortificata, oggetto di ciclopici restauri non ancora terminati. Alla Grancia di Cuna apparteneva anche un monumentale mulino fortificato a Monteroni d’Arbia, costruito tra 1322 e 1324, esemplare della tecnologia trecentesca. Si giunge così all’imponente Ponte d’Arbia, a tre ampie luci con elegante tessitura in laterizio. Nelle vicinanze, non è da perdere una breve visita alla romanica Pieve di Corsano.
 
Trentacinquesima giornata. Da Ponte d’Arbia a San Quirico d’Orcia
Finora abbiamo insistito sul panorama valdelsano-chiantigiano, in un certo senso - anche storico: si pensi all’Arbia e a Montaperti - concepito nell’immaginario diffuso come “fiorentino-senese”. Ma eccoci adesso in un’atmosfera nuova, quella aretino-senese-maremmana: la Toscana meridionale, tra Val d’Orcia, Val di Chiana, “Crete senesi”, colline volterrane e Maremma amiatino-livorno-grossetana. Di quest’area, tuttavia, la Francigena lambirà solo il margine orientale. È un bel pezzo della magica Toscana che si perde e che dovrete recuperare attraverso opportuni saggi “diverticolari” oppure nuove esperienze di viaggio. Questa è la zona del celebre vino Brunello di Montalcino, che insieme con il Rosso e il Nobile di Montepulciano - ma anche con il Bolgheri, più ad ovest - costituisce la gloria enologica della Toscana meridionale (non di solo Chianti vive la regione). Fra asfalto e “strada bianca”, la giornata si snoda per oltre 26 chilometri di prevalente salita che può essere anche faticosa in quanto si varca il crinale tra Val d’Arbia e Val d’Orcia passando dai 200 ai 400 metri sul livello del mare in direzione sud-est. Dopo aver seguito per un certo tratto la Via Cassia, si perviene alla confluenza dell’Arbia con l’Ombrone, dove sorge Buonconvento, che fin dal nome evoca scene di buona ospitalità per i pellegrini. In realtà, come talvolta succede, la realtà storica contraddice alla toponomastica. Fu qui che nel 1313 il “re dei Romani” Enrico VII - “l’alto Arrigo” di Dante -, diretto a Roma per cingervi la corona imperiale (nonostante l’assenza del papa, ormai trasferito ad Avignone), morì sembra per una febbre malarica: ma una tenace leggenda lo volle vittima al contrario della congiura dei frati guelfi locali, che lo avrebbero ucciso somministrandogli un’ostia avvelenata. Oggi l’imperatore dorme in una cappella della cattedrale di Pisa e sulla sua tomba mani anonime depongono spesso fiori freschi. Buonconvento, sorta come “mercatale” presso la pieve di Percenna, era celebre fino al XIX secolo per la sua intatta cinta muraria: ma nell’Ottocento l’incremento demografico l’obbligò ad allargarsi, e nuove abitazioni sorsero purtroppo addossate alle vecchie mura; il passaggio della Seconda guerra mondiale fu causa di nuovi guasti. Nei dintorni della cittadina, può darsi che qualcuno di voi ceda al fascino sottile del Mistero. Avrete magari sentito parlare di Villa La Rondinella, costruita presso la Via Cassia in stile Art Nouveau. Pare che nell’edificio, poi abbandonato e soggetto a varie compravendite, si registrino misteriose, inquietanti presenze. Gli amanti delle avventure esoteriche sono avvisati. Superata Buonconvento, e dopo la salita che conduce al Podere Altesino, si scende dolcemente fino a Torrenieri su una strada bianca fiancheggiata da bei filari di toscanissimi cipressi. Oltre campi, uliveti e torrenti s’incontra, dopo il piccolo santuario della Madonna del Riguardo, Torrenieri (la sosta XXIII Turreiner di Sigerico), con un buono “spazio attrezzato” per il riposo dei pellegrini. Lungo la strada, ci accompagnano il profilo del Monte Amiata e del picco di Radicofani, antichi rilievi vulcanici. A San Quirico d’Orcia sorgeva fino dall’VIII secolo la Pieve di Osenna, sulla quale tra XII e XIII secolo s’impiantò la grande collegiata romanica dedicata ai santi Quirico e Giulitta che dà al paese il suo nome odierno. Da visitare, ancora, la chiesa di Santa Maria Assunta e l’antico hospitale (“ospizio”) a sua volta denominato “di San Quirico”, dalla struttura quattrocentesca, il quale dipendeva da quello senese di Santa Maria della Scala. Fra i due importanti edifici non si può trascurare il parco detto “degli Horti Leonini”, un esemplare giardino del Rinascimento italiano disegnato in pieno Cinquecento da Diomede Leoni su un terreno donatogli da Ferdinando I de’ Medici granduca di Toscana e che ospita la statua del suo successore Cosimo III. Non posso non invitarvi a qualche significativa tappa “fuori rotta”. La piccola suggestiva cappella della Madonna di Vitaleta (e qui il toponimo fa onore allo spettacolo), intorno alla quale si stende uno dei più bei panorami della regione. Pienza,  “città ideale” fondata nei primi anni Sessanta del Quattrocento da papa Pio II che volle così trasformare il natìo borgo di Corsignano. E ancora, la bellissima Montepulciano, patria dell’umanista Agnolo Poliziano e del vino che, a detta del protofisico pontificio Francesco Redi, “d’ogni vino è re”. Da visitare la cinquecentesca chiesa di San Biagio.
Trentaseiesima giornata.
Da San Quirico d’Orcia a Radicofani
Ci aspetta una giornata ancora più lunga, che potrebbe allungarsi ulteriormente: 32 chilometri e mezzo magnifici ma molto impegnativi, a meno di non preferire una variante sudoccidentale molto meno ripida - specie nell’ultimo tratto - ma in cambio più lunga. Nel primo caso è consigliabile una sosta nel paradiso di Bagno Vignoni: si tratta del vero e proprio “alto luogo” dell’intera rete di stazioni termali per tutto l’arco della Francigena e dintorni, da Equi presso Massa fino a Sorano. Poi Rocca d’Orcia, Castiglione d’Orcia appollaiato attorno all’impressionante roc­ca degli Aldobrandeschi “di Santa Fiora”, fino alla splendida Abbadia San Salvatore. Oppure sul tracciato segnato come “ufficiale” della Francigena fino alla rocca di Radicofani, quella signoreggiata in pieno Trecento dal “bandito” Ghino di Tacco, ribelle ghibellino alla repubblica guelfa di Siena, del quale parla il Boccaccio.

Trentasettesima giornata.
Da Radicofani ad Acquapendente
Un’altra giornata di faticosi saliscendi per quanti giunti oltre le Briccole abbiano optato per l’itinerario canonico: 23 chilometri e mezzo abbondanti, se giunti a Ponte a Rigo seguite quella ch’è indicata come “via Centeno”; qualora però siate particolarmente ardimentosi, giunti a Pon­te a Rigo - cioè a sud-est del Lago Mad­dalena – dovrete di nuovo deviare verso sud-est per quella indicata come “via Proceno” - secondo un’antica tradizione quello era “il paese di Porsenna” -, facendovi oltre 5 chilometri in più. Acquapendente era considerato tra VIII e XII secolo il limite meridionale della “Marca di Tuscia”: tappa di pellegrinaggio fondamentale e molto nota ai pellegrini diretti a Gerusalemme, conserva nella sua cattedrale, forse del X secolo, una cripta che ospita una “riproduzione” del Santo Sepolcro di Gerusalemme, per forma e proporzioni dotata di una “fedeltà” all’originale che ha stupito storici e archeologi.