La stabilità di Cristo sul monte dell’esistenza
Maria Gloria Riva
Sembra seguire la lezione di Matteo, Duccio di Buoninsegna, e colloca Cristo sopra quell’alto monte dal quale si possono vedere tutti i regni della terra. Per l’evangelista, questa tentazione legata al potere è l’ultima subita da Cristo nei quaranta giorni di deserto che lo preparano alla sua missione. Per Luca, invece, è la seconda, posta tra la tentazione degli appetiti (le pietre diventino pane) e quella del potere spirituale (l’invito a gettarsi dal pinnacolo del Tempio nella certezza che il Padre ordinerà ai suoi angeli di salvarlo). Quasi seguendo la versione lucana, Duccio ritrae Gesù in mezzo, fra la luminosità degli angeli che lo servono e l’oscurità di Satana, angelo decaduto a motivo della propria vana gloria.
I regni sono le città medievali, prima fra tutte Siena patria dell’artista. Sono le città turrite, finemente descritte, orgoglio e vanto della cultura del pittore. L’epoca dei comuni segnò una fioritura culturale fatta di scambi e di relazioni, e fornì all’uomo medievale la sensazione di aver creato qualcosa di grande e duraturo capace di dominare la natura imponendole l’impronta cristiana. In realtà ci si accorse presto che l’idealità ha da fare i conti con la miseria umana: rivalità e discordia, e in definitiva la sete di potere, posero i comuni in lotta fra di loro. La stessa Maestà di Siena (1308-1311), nella cui predella era inserito il pannello della Tentazione di Cristo sul monte, nasce da un voto fatto dalla città alla Vergine e legato alla battaglia di Montaperti (4 settembre 1260), che vide Siena vittoriosa sui guelfi fiorentini.
Niente di diverso dal nostro tempo in cui, se da un lato le conoscenze e le possibilità offerte dalle scoperte tecnologiche conducono l’uomo a una sorta di delirio di onnipotenza, dall’altro si constata la facilità d’essere ridotti al nulla, alla paralisi, da imprevisti piccoli e ingovernabili come un virus.
Duccio, del resto, dipinge Cristo, Satana e gli angeli con proporzioni esagerate rispetto al panorama circostante, quasi a sottolineare la portata universale e ancestrale della lotta ivi narrata. Cristo sta saldo fra il sereno equilibrio degli angeli e l’inquietante sbilanciamento di Satana. I suoi abiti rosso e blu denunciano la doppia natura: se la sua vera carne confonde le malie del tentatore, la sua divinità si rivela in quel dito puntato capace di vincere il seduttore e di ridurlo al silenzio. I monti dove Cristo poggia i piedi sono lucenti, e così le città che a lui si consegnano, come appunto Siena, città mariana (ed eucaristica) per eccellenza. Scure e terrose sono invece le montagne e le città dominate da Satana. Sembra diretto a loro lo sguardo pieno di apprensione degli angeli di Duccio.
L’opera diventa così un monito: non basta desiderare un bene generico per essere al sicuro dalle insidie del maligno, occorre desiderare quel Bene vero e certo, come vera e certa è la postura del Cristo sulla roccia: solo Lui può offrire futuro e stabilità. La via per raggiungerlo è quella della preghiera che rende belli, come sono belli gli angeli alle spalle di Cristo. Chi, come Satana, si abbandona all’autoreferenzialità e all’autocompiacimento, deforma la sua bellezza originaria riducendo tutto alla mostruosità e alla negazione di quel bene che pure, in origine, era desiderato.