La preghiera e il tempo. La sorpresa di Sini
Mario Botta
La piccola comunità di Sini, in provincia di Oristano, nell’entroterra sardo, si è trovata alle prese con la ricostruzione della vecchia chiesa parrocchiale del nucleo storico, divenuta inadeguata e pericolante.
Il progetto di Carlo Atzeni, Maurizio Manias, Silvia Mocci e Franceschino Serra (2012-2017) ha fatto in modo di consolidare la centralità della chiesa all’interno del villaggio, facendosi carico di una ricucitura del tessuto edilizio caratterizzato da muri e stratificazioni che, nel tempo, hanno creato un tessuto edilizio con un forte legame al vernacolo locale. I vicoli, le recinzioni, i muri di sostegno e i tracciati delle contrade contigui alla chiesa risalgono, infatti, a un passato prevalentemente legato a un’economia agricola e rurale, parsimoniosa e intelligente, nella quale il rapporto tra uomo e ambiente esige modestia, misura e ingegno. Ora, all’inizio di un nuovo millennio, ci ritroviamo orfani di un modello di vita tramontato (ma con memorie ancora vive). Proiettati nel bel mezzo della globalizzazione, la ricostruzione di uno spazio che conserva speranze e attese comuni – come quello di una chiesa – pone nuovi interrogativi.
Nel caso di Sini, il centro storico, seppure modesto, è presente e degno di attenzione: l’edificazione della nuova chiesa rivendica il diritto di testimoniare del nostro tempo, della nostra cultura e dell’attuale sensibilità. È con queste premesse che il gruppo di progettisti ha affrontato questo impegno. Il nuovo impianto planimetrico, in contiguità con i tracciati dell’intorno, risulta convincente attraverso un chiaro raccordo della tipologia ecclesiale a croce latina con il tracciato delle mura perimetrali del terreno. La distinzione – senza ambiguità o concessioni “ambientaliste” del linguaggio architettonico – della nuova edificazione rispetto al contesto paesaggistico dell’intorno, è coraggiosa e appropriata poiché offre un buon esempio di possibile convivenza fra due linguaggi “autentici”, riconoscibili ognuno con la propria identità.
Riconosco come opportuna anche la scala dell’intervento, la misura degli spazi e i rapporti fra le differenti componenti. Inoltre, è ammirevole la chiarezza d’uso dei materiali – calcestruzzo a vista per la muratura, legno per gli infissi, le pareti divisorie e il solaio di copertura – e il ricorso a una illuminazione lineare che profila e ritma le travature delle navate. In altre parole, posso esprimere il mio compiacimento per la perizia da valenti artigiani (già con una sapienza rinascimentale) grazie alla quale tutti gli elementi trovano una misura e una forma espressiva di grande rigore.
Anche la disposizione dell’arredo liturgico (altare, ambone, tabernacolo, sede, crocifisso) merita di essere sottolineata per la sapienza, l’ordine e un adeguato cambiamento di scala, a dimensione umana, che permette il riconoscimento delle funzioni in uno spazio di silenzio e preghiera. Uno spazio – quello della chiesa di Sini – che si avvicina alla rarefazione delle differenti parti e ricorda, in positivo, una qualità museale. Una bella, inaspettata scoperta.