La Via Francigena da Massa a San Miniato 1
Si apre finalmente da oggi – molti i pellegrini che lo attendevano dall’inizio del viaggio – l’area nella quale la Francigena percorre, tra nordovest e sudest, la parte centrale del “triangolo d’oro” tra Firenze e Siena, che ci accompagnerà per quattro giornate in gran parte trascorse in Valdelsa, la valle dell’affluente di sinistra dell’Arno reso celebre dall’Alighieri che separa la catena collinare del Chianti da quella delle alture volterrane. Siamo in piena area etrusca, quindi nella terra dei celebri vini e die liberi comuni. La tappa, quasi 24 chilometri, non è poi granché riposante: e verso la fine, tra il Poedere Le Colline e Borgoforte, diventa decisamenet un po’ faticosa, specie se l’affronatte nele settimane della canicola. In cambio il paesaggio dominato dal verde-argento degli olivi e dai filari delle vigne è indimenticabile: insieme con quello del Chianti vero e proprio, è quello che Fernand Braudel definì “il paesaggio più commovente del mondo”, là dove l’uomo ha lavorato con sapienza, perizia e finezza tali da far sembrare tutto perfettamente naturale (mentre è quasi esatamente vero il contrario).
Trentunesima giornata.
Da Gambassi Terme a San Gimignano Indugiamo accolti, quasi coccolati, in questo paesaggio incantevole che ci fa apparire tutto sommato leggeri e comunque piacevoli i 13 chilometri e mezzo di saliscendi tra i poco più di 100 metri di Luiano ai 400 della pieve di Cellole: strada bianca, cipressi, residenze che vanno dal piacevole casale alla villa lussuosa, ovviamente olivi e viti. Il traffico, si direbbe solo di turisti: è quello che fa sembrare la Francigena l’unica vera regina dell’ambiente. San Gimignano, anche se la si è visitata mille volte, resta un’esperienza magica: e lo è per gli stessi sangimignanesi, ogni giorno. Un consiglio: quando ci arrivate, una volta sistemati nel vostro alloggio prendete posto a un tavolino del cafè che sta di fronte al Palazzo Civico e alla collegiata, ordinatevi un calice di vernaccia ben ghiacciata e un piccolo panino al prosciutto di cinghiale oppure una fettina di panforte (specificate bene se lo pereferite senese o volterrano). E tendete l’orecchio. Prima o poi, arriverà puntualmente un gruppo di turisti: e allora uno (o una) di loro pronunziarà con aria sognante la fatidica frase: “Ma qui è rimasto tutto come nel medioevo!...”. Ebbene, qualcosa del genere era successo una settantina di anni prima a San Gimignano: allorché, grazie anche a un’idea cullata da Leopoldo II d’Asburgo-Lorena granduca di Toscana (ne avete incontrato già due volte la statua: a Pietrasanta e a San Miniato: un’altra potreste vederla a Livorno) “piovve” in città una star dell’architettura classico-romantica del tempo, Leo von Klenze, colui che tra 1830 e 1842 per conto di Ludovico I di Wittelsbach re di Baviera aveva eretto sul Brauberg quasi in riva la Danubio, nei dintorni di Regensburg, uno scenografico Walhalla in stile neoellenico ispirato al Partenone di Atene.
Trentaduesima giornata.
Da San Gimignano a Monteriggioni La Francigena che attraversava San Gimignano ha più volte sconvolto, qui e altrove, il suo tracciato: e ripercorrerne i diverticoli è arduo. Alla fine del Duecento la città, entrata defitnitivamente nell’orbita fiorentina, restò tutto sommato prospera – è, insieme con L’Aquila, una delle “capitali italiane” della produzione dello zafferano - subì il destino di molti centri siti in altura o a mezza costa: con l’incremento della popolazione fra XI e XIII, dovette affrontare la concorrenza dei nuclei insediativi di fondovalle ch’erano nati nel frattempo o erano cdemograficamente cresciuti. Per questo molti centri valdelsani importanti, talvolta di grande bellezza, escono dal nostro tracciato che resta fedele alla Francigena dei suoi “tempi d’oro”, fra X e XIII secolo. Ve ne accorgereste se scendeste dal crinale dov’è collocata San Gimignano diretti verso il fondovalle valdelsano dove corre il nastro della ferrovia Firenze-Siena, che da Empoli attraversa molti centri valdelsani economicamente importanti e artisticamente pregevoli, da Montelupo a Certaldo (la Certaldo Alta, con le sue memorie legate a Giovanni Boccaccio, è incantevole), da Castelfiorentino con la sua prestigiosa “stagione lirica” (cosiddetta “minore”: ?!) con il bel santuario di San Lucchese e la rocca medicea, fino alla dinamica Poggibonsi; non è invece servita da alcuna linea ferroviaria la bellissima Colle Valdelsa, dove all’estremità della Città Bassa troverete l’edificio che fino all’anteguerra era la stazione d’una linea ferroviaria chiantigiano-valdelsana malauguratamente smantellata (era un “ramo secco”, si disse...) nel secondo dopoguerra, allorché con l’alibi del progresso si compì quel delitto: infamie del genere vennero perpetrate del resto nell’intera penisola tra il plauso della classe politica e l’incremento di profitti d’origine stradale o edilizia di pochi furbastri, aumentando i costi dei viaggi e l’inquinamento e con grave danno dei ceti subalterni. Detto questo – perché andava detto – riprendiamo il nostro cammino alla scoperta della “Francigena storica”, con l’avvertenza che di tratti chiamati “francigeni” ne troverete altri, e non senza motivo, in quanto collegati a segmanti frequentait in epoche diverse (andateglielo voi a spiegare a uno di Poggibonsi che la Francigena non è sempre passata per la sua città). La giornata tra San Gimignano e Monteriggioni è lunga, quasi una quarantina di chilometri, e può diventar più lunga ancora se, arrivati a Torraccia di Aiano, prendete poco dopo la deviazione a destra (vale a dire verso sudest) e puntate sulla straordinaria Badia a Coneo, con un colpo d’occhio invidiabile, per riprendere poi la strada principale dopo San Donato, Quartaia e Onci, sbucando a Gracciano. Altrimenti proseguite sulla sinistra, cioè in direzione est, e dopo il monastero miracoloso delle Grazie, luogo ancor frequantato di pellegrinaggio, vi trovate a Colle Valdelsa. Un centro unico, incredibile. Non a caso era il paese di un genio come Mino Maccari. Voi ci arriverete dalla Città Alta, senza dubbio la più affascinante. Ma sarebbe quasi meglio che l’aggiraste per entravi dall’altra parte. La Città Bassa ferveva tra Otto e Novecento di attività manifatturiere di eccellenza, oggi quasi comparse: dalle cartiere all’editoria al cristallo (i manufatti colligiani facevano concorrenza a Murano e alla Boemia). Oggi, una bella comunità musulmana è riuscita ad aprirvi - nonostante le resistenze locali e non - una moschea che lavora bene anche a livello culturale. Quanto alla Città Alta, collegata alla Bassa con un ascensore, essa è sistemata sulla collina che avete aggirato arrivandoci dalla via di circonvallazione dal santuario delle Grazie. Nel suo ventre, nascosto e invisibile dal di fuori, c’è una vera e propria “città sotterranea” che a poco da invidiare a quella, più famosa, di Perugia, essa vale da sola una deviazione. La superstrada Firenze-Siena-Grosseto passa là vicino: il che rende Colle meno isolata, altrimenti non ci sarebbe alcun tipo di collegamento pubblico con Firenze, Siena, Volterra e Pisa se non la rete dei pullman. L’itinerario interno di collegamento tra le due Città, ad ogni modo, non va evitato con la scorciatoia dell’ascensore. In particolare, la porta d’Ingresso alla “Città Alta” (quella che era appunto per i colligiani il “Castello”) è di una scenografia rinascimentale davvero imponente, che non vi aspettereste mai. A Colle una sosta notturna sarebbe consigliabile. Anche perché, se procedete verso Monteriggioni, in quella città senza aver prenotato l’alloggio può esser dificile trovar posti liberi, almeno nella buona stagione. Altrimenti, avanti senza esitare verso la città che, come dice Dante, “di torri s’incorona”, E lì, in quel breve spazio circolare chiuso nella magica cinta turrita, il tempo sembra essersi davvero fermato. Per quasi tutto, esclusi ovviamente i prezzi. In ogni modo, tra Colle e Monteriggioni almeno la sosta ad Abbadia a Isola (la Borgenove, XVI di Sigerico) non è di quelle cose da perdere. Anche perché ci troverete autentiche tracce di una sosta pensata per accogliere i pellegrini.