La Terra e il volto di Cristo
Da questo numero e per un anno il geografo Franco Farinelli proporrà una storia del mondo attraverso le mappe.
«Erano bei tempi, splendidi, quelli dell’Europa cristiana, quando un’unica cristianità abitava questo continente di forma umana». Così, ancora alla fine del Settecento per Novalis, il più puro dei romantici tedeschi, nell’immagine del Cristo si fondevano non solo quel che è umano e quel che è divino, ma anche quel che è terrestre. Ma dove Novalis può aver visto tutto questo? Dove può aver appreso che Cristo e la Terra sono alla lettera un tutt’uno, un’unica cosa, che fanno l’un l’altra corpo? Vi è una sola possibile risposta: da una mappa mundi medievale o da un salterio, cioè da un libro di preghiere. Su di essi, infatti, prima della modernità, un’unica figura rappresenta insieme il Redentore e il nostro pianeta, sicché è impossibile distinguere l’uno dall’altro: Gesù ha la forma dell’intero ecumene allora abitato e conosciuto dai cristiani, e la faccia della Terra ha la forma di Gesù.
Si guardi quel che resta (una ricostruzione basata su una copia fotografica della fine dell’Ottocento) della più bella e grande mappa mundi di cui ci sia giunta traccia: una potente immagine circolare di tre metri e mezzo di diametro che risale agli anni Trenta del Duecento e che prende il nome dalla cittadina di Ebstorf, andata distrutta nei bombardamenti alleati che nel 1943 si accanirono sui dintorni di Hannover. Il continente cristiano vi è ancora concepito come quasi duemila anni prima le mappe ioniche, quelle su cui già Erodoto riversava tutto il suo sarcasmo, raffiguravano il mondo: un’isoletta circondata dall’anello liquido dell’Oceano. Dove però adesso si bagnano, in basso, i piedi del Signore, e a destra e a sinistra le sue mani, mentre la testa sormonta l’intera raffigurazione, proprio accanto alla vignetta che mostra, all’interno del Paradiso, la scena del peccato originale. In alto vi è dunque non il Nord, come dal Settecento in poi sarà regola sistematica, ma l’inizio, il principio e insieme la fine della storia umana, perché sulle mappae mundi ancora non esiste la distinzione tra tempo e spazio cui la modernità ci ha abituato. Lo spazio, anzi, non esiste proprio, al punto che il centro della mappa è invariabilmente Gerusalemme, la scena della vicenda terrena di Nostro Signore, al centro appunto perché essa è il luogo da cui deriva il significato dell’intera rappresentazione. E non esiste nemmeno il tempo nostro che è quello inaugurato dalla fisica classica, ma il tempo è, già e ancora, quello orientato secondo il verso dell’escatologia cristiana, in direzione della realizzazione del piano divino della redenzione e salvazione dell’umanità. Come dire che ogni mappa mundi illustra, diversamente dalle mappe cui siamo abituati, non solo quel che esiste, ma prima ancora quel che è esistito e quel che esisterà: tre stadi o momenti l’un nell’altro fusi da risultare tra loro inscindibili, proprio come i due corpi della Terra e del Cristo. E questo perché a partire dall’inizio del Duecento e fino al primo Quattrocento le mappe del mondo stanno alla Terra come l’ostia sta al corpo di Cristo: non sono il simulacro di quel che raffigurano, ma sono senza alcuna riserva quel che esse rendono visibile.
La storia è nota, però fin qui mai collegata alla storia della cartografia. Nel 1215, in risposta alle dottrine di Berengario di Tours e delle sette eretiche che tendevano a spiritualizzare eccessivamente il sacramento dell’altare, papa Innocenzo III riaffermò con vigore la presenza reale nell’Eucaristia di entrambe le nature di Cristo, umana e divina. Per il dogma della transustanziazione il pane consacrato divenne in tal modo il “corpo vero”, il “corpo naturale” di Gesù, non il suo simbolo. Fu così che il termine riservato da san Paolo alla Chiesa passò a designare l’ostia. E di converso l’espressione “corpo mistico”, la cui origine era liturgica e sacramentale, venne applicata al corpo organizzato della società cristiana unita nel sacramento dell’altare. Fu così, per lo stesso processo d’identificazione di cui mappa di Ebstorf è registrazione esemplare, che la rappresentazione geografica, ostia della Terra, divenne la Terra stessa. Ecco perché ancora oggi noi crediamo ciecamente alle mappe e non osiamo mai mettere in discussione quel che esse dicono: perché la loro funzione normativa discende direttamente dal mistero eucaristico, dalla potenza del “sacramento dei sacramenti”.