La Stanga, al confine del prato dei cervi
Molti anni fa, durante le lunghe estati piene di sole che passavamo coi nonni Marchiori nell’oasi felice di Susin di Sospirolo (o almeno così oggi mi sembrano, fissate nel ricordo lontano), succedeva ogni tanto che nonno Carlo, l’ex alpino reduce dalla Grande Guerra che mi viziava spudoratamente, annunciasse a sorpresa durante il pranzo di mezzogiorno: «Questa sera minestra di fagioli. Si va alla Stanga!».
Subito la mamma e nonna Virginia cominciavano a protestare: «Perché proprio oggi?... E i Fiocco sono stati avvertiti?... Magari andiamoci domani...»: ma nonno Carlo era irremovibile. Voleva i suoi fagioli. La trattoria della Stanga rappresentava per lui un richiamo irresistibile, al quale in buona coscienza cedeva nel preciso momento in cui gli capitava di pensare a quella fumante e profumatissima minestra coi fagioli (ovviamente di Lamon).
A tutti noi bambini veniva subito l’acquolina in bocca. Quella densa crema coi grossi fagioli ovali e le striscette gustose di pasta che ci navigavano in mezzo piaceva a tutti; e se la cugina Beppina, meditabonda e lentissima, non finiva la sua, c’era subito uno di noi cinque – tutti di ottimo e veloce appetito – che si impadroniva del suo piatto e spazzava via tutto più in fretta possibile. Ma nonna e mamma pretendevano di andarci in compagnia della vicina tribù dei parenti Fiocco: zio Giuseppe fratello della nonna, sua moglie l’imponente zia Agnese dalla cupola torreggiante di capelli rossi, i cugini in gruppo. E così avveniva la spedizione di famiglia. Si scendeva fino al ponte sul Cordevole; poi, uscendo dal territorio di Sospirolo, prendendo a sinistra ci si inoltrava nella lunga valle misteriosa che alla fine porta ad Agordo: ma noi ci fermavamo molto prima, nel breve spiazzo in cui c’era la Stanga.
Era la mia delizia quella valle, e ancora oggi lo è, quando andiamo per l’antica via verso la meta, evocante buon cibo e teneri amici; ma prima si attraversa un percorso incantato. La strada costeggia a destra le rocce; dall’altro lato ci sono il fiume e vasti verdissimi prati; dietro, si alzano alte, oscure montagne. Ci sono pochissime case, alcune in rovina.
Oggi è parco nazionale. Si vedono passare cervi, volpi, piccoli animali; l’acqua scorre in distanza e favole antiche riemergono alla mente, storie di miniere e di viaggiatori, di cambi di cavalli, di diligenze e di banditi; storie dell’antica locanda dove passava il confine, e dove oggi regnano Luca e Patrizia, amici del cuore.
C’è ancora l’antico larìn, il focolare quadrato con la panca tutto intorno, dove ci si siede a bere un bicchiere e a mangiare le divine polpette che aspettano fragranti il viandante; ci sono tanti libri a tenerti compagnia e un piccolo museo di tutto ciò che non si usa più ma è così bello rivedere e ricordare; ci sono stanze per buone dormite. C’è la dolce amicizia dello stare insieme a persone che ti circondano di affetto sereno, ti nutrono e vengono a sedersi con te e a chiacchierare delle cose della vita, di quello che è successo e dei nostri pensieri. C’è un piccolo negozio chiamato Tólte su (Pórtati via), dove trovi pane e cibo da portare con te per non dimenticare.
Ma sono Luca e Patrizia che incarnano l’antico fuoco della Stanga: intelligenti e capaci, tengono insieme per noi – con passione e fatica – tutto questo piccolo mondo. E quando arrivo là, io mi sento sempre circondata di tenerezza infinita.