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In Messico un santuario senza mura

​AJojutla de Juárez, in Messico, il terremoto del 19 settembre 2017 ha lasciato più di 2.600 case distrutte, con molte infrastrutture pubbliche trasformate in rovine. Anche la chiesa costruita negli anni Ottanta del Novecento è stata cancellata dal sisma. Si è resa così necessaria l’edificazione di un nuovo edificio sacro, realizzato in emergenza su progetto di AgendA Agencia de Arquitectura/Camilo Restrepo Ochoa (Colombia), e Agencia Del­lekamp+Schleich (Messico), con l’intento di indicare un nuovo inizio. Il santuario del Señor de Tula riprende la tradizione, consolidata a queste latitudini, delle cappelle aperte che promuovono un incontro tra uomo e natura, tra la comunità dei fedeli e la sacralità del paesaggio. Uno spazio che configura un perimetro più virtuale che reale dell’intorno, lasciando quindi più spazio alla natura.
Ci troviamo di fronte a una tipologia già collaudata nel passato, che ha registrato esempi eccelsi come quelli degli architetti Félix Candela, a Lomas de Cuernavaca (1958-1959), e Luis Barragán, nel Parque de las Estrellas a Guadalajara (1955); due diverse possibilità, estreme, di questo modello.
La nuova architettura, che sorge presso i ruderi dell’antica chiesa di San Miguel Arcángel, presenta un’unica navata inscritta in un quadrilatero dove, dagli angoli, partono delle travi-pareti che si configurano come grandi archi in calcestruzzo che disegnano le facciate. Volte di cotto lineari della copertura, trasversali alla navata, caratterizzano l’estradosso. Nasce così uno spazio “protetto”, ma esterno, con un microclima gradevole per la maggior parte della giornata.
La navata si configura come una gradonata che scende dal pianoterra fino alla zona absidale dove è collocato l’altare. I lati si aprono al paesaggio naturale e a una parte della facciata in pietra della chiesa antica, che diviene una presenza iconica, testimone del grande passato. Viene così a crearsi una composizione disinvolta fra linguaggio storico e nuove strutture in cemento armato; un collage fra forme e tecniche costruttive che parlano della complessità, ma anche della fragilità, del costruire ai nostri tempi.
L’unica emergenza verticale della composizione è la torre-campanile che, posta su di un angolo, connota indirettamente la profondità della navata. Essa si innalza snella e, nella sua parte alta, si apre una semplice croce.
Nonostante le dimensioni modeste della cappella, la copertura delle volte e il tracciato perimetrale determinano uno spazio di grande ampiezza che si può cogliere con un solo colpo d’occhio. Il vantaggio delle cappelle aperte non è solo quello di offrire una parziale protezione fisica dagli elementi atmosferici, ma anche la loro ricchezza simbolica: architetture capaci di unire, alla luce del sole, la dimensione terrena e quella ultraterrena. Nel caso specifico si è venuto a creare uno spazio ecclesiale insolito e affascinante proprio perché declinato nel processo storico, nella cultura e nelle condizioni climatiche proprie di un Paese del­l’America Latina.
Santuario del Señor de Tula (2017-2020), Jojutla de Juárez, Messico.
Architetti: AgendA Agencia de Arquitectura/Camilo Restrepo Ochoa (Colombia); Agencia Dellekamp+Schleich (Mes­sico).
Committenti: Infonavit (Carlos Zedillo, Alejandra de la Mora, Javier Garciadiego, Carlos Farah); Fundación Hogares (Cristina Rubio).
Area del complesso: 450 metri quadrati.