Il saggio non-sense del principe nato da un uovo
Antonia Arslan
Ci fu, nella mia infanzia piena di libri, di trenini e di giochi con i libri, un amore appassionato per un personaggio strambo e curioso, che divenne per me un amico intimo: il bambino-uovo, Tirititùf, uscito dalla mente geniale di Luigi Capuana. La sua storia, raccontata in uno dei volumi della mitica “Biblioteca della Lampada”, la collana per bambini che fu uno dei primi successi di Arnoldo Mondadori ai suoi esordi come editore, mi allenò a capire che non sempre è possibile scegliere con decisione; che fra il nero e il bianco esistono mille sfumature, e re e regine possono imparare dalle contadine, come la Salta-e-Balla, e diventare felici. Questa, fu, per una bambinetta testarda di nove anni, una lezione indimenticabile: si deve guardare oltre le apparenze e amare le filastrocche insensate.
Fu la grande lezione di quel magico libretto che – a forza di rileggerlo – sapevo quasi a memoria. Mi abituò a pensare divertendomi, con quelle svagate deviazioni mentali che, nel corso degli anni, mi hanno aiutato a evitare di prendere sul serio cose da poco. In un linguaggio diretto e brusco, a volte perfino sgradevole perché inaspettato, che evitava come la peste toni bamboleggianti e mielosi, raccontava portenti e magie con le svelte rime delle sue facili canzoncine. Ancora oggi, chi mi conosce mi ha probabilmente sentito dire almeno una volta, per chiudere un discorso col tono definitivo di chi cita una sentenza indiscussa: «E poi? E poi? E poi? / Il figlio è vostro, pensateci voi!», il che si addiceva alla maga-contadina Salta-e-Balla del libro, ma anche – in fondo – a molte situazioni che si trascinano in chiacchiere inutili che non decidono niente.
La storia fuori dal tempo del Re e della Regina senza figli, che i maghi ufficiali non sanno aiutare, e ai quali Salta-e-Balla dona l’uovo magico dell’uccello Tirititùf, che la Regina si mette a covare come una chioccia (e quando è stanca il Re marito prova a sostituirla) si tinge presto, nella vivace narrazione di Capuana, di colori di gioco e quasi di farsa sentenziosa. In realtà, è una lunga fiaba rivestita dei profumi e dei colori di un paese bizzarro in cui si sente qualche eco di una Sicilia di sogno, ma anche tutta la rustica vivacità di una novella popolare.
Luigi Capuana, amico di Verga e dimenticato teorico del Verismo, era bravissimo nei libri per l’infanzia, nei quali si lascia andare a una vena profonda di saggezza svagata e felice. Quando l’uovo magico covato dalla Regina-chioccia si schiude, ne esce il principino Tirititùf, che cresce capriccioso e dispettoso. Nella reggia si muovono bonariamente personaggi solenni che sono le vittime delle sue burle feroci: i Ministri, la Regina e le sue Dame, il Re e i suoi Consiglieri. Il Reuccio infatti ha poteri magici ma li usa per suo divertimento, e la reggia diventa un canile uggiolante per i suoi cento cani, e serve da dimora per tutte le bestie selvagge che lui cattura e poi trascina dappertutto con sé come una vivente baraonda di schiamazzi e grugniti. Io ero deliziata: amavo il mio principino-uovo, il suo potere, la sua gioia di vivere, che sembrava sgorgare come acqua di fonte dalle strofette strambe e dai giochi di parole che zampillavano di continuo dalle pagine del libro. Divenne per me un amico prezioso, e lo collocai per sempre nel mio cuore.