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Il fiore di Cucinella alle falde del Pollino

​Nelle frange del tessuto edilizio ai bordi del comune di Mormanno, in provincia di Cosenza, nel cuore del Parco Nazionale del Pollino, il 6 luglio 2021 è stata dedicata la chiesa di Santa Maria Goretti, dell’architetto Mario Cucinella, tra i vincitori, nel 2011, del concorso dei progetti pilota promosso dalla Cei. Apprezzabile l’impegno progettuale che ha animato la qualità dell’intervento. All’esterno, l’impianto architettonico dell’aula assembleare si configura come un importante volume unitario di circa sedici metri di altezza. Le superfici perimetrali continue e curvilinee, in muratura bianca, si interrompono unicamente per creare una fessura verticale arretrata che funge da ingresso sul fronte sud. È chiara la volontà di creare un monolite plastico in grado di confrontarsi dialetticamente con l’affiorare della roccia nella parte inferiore della collina; un confronto sottolineato anche dall’andamento curvilineo che non trova una ragione orografica di riferimento (una curva di livello, un tracciato lineare al limite della collina…). Ma la scommessa progettuale ricercata dall’architetto con l’estendersi della superficie muraria trova compimento soprattutto nello spazio interno dell’aula, che si configura come una piazza polivalente con aree destinate ai vari poli liturgici e alle loro funzioni.
L’aula tradizionale con una propria geo­metria è volutamente abbandonata a favore di uno spazio fluido, privo di gerarchie, dove anche gli arredi sacri si caratterizzano con immagini autonome in funzione della loro destinazione: altare, ambone, sede. Una spazio senza orientamento che viene arricchito da un generoso soffitto di tendaggi; un volume plastico chiaroscurale che permette la penetrazione della luce zenitale. Un richiamo agli addobbi di tende e stendardi (come nelle sagre popolari), in una bella interpretazione “meridionale” che fa rivivere i fasti delle commemorazioni in cui è presente la gioia di essere parti attive di riti, canti e preghiere. Una memoria presente della devozione popolare di un recente passato: ritrovarla nella sobrietà inventata dal linguaggio dell’architettura moderna è un merito di questo progetto. Il soffitto di tendaggi, come metafora delle nubi che solcano il cielo, è l’invenzione più poetica di questa ecclesia; una bella e sorprendente intuizione che riconosciamo alla bravura dell’architetto.
Dispiace che – al di là dell’impegno pro­gettuale che ha animato la qualità del­l’intervento – i rapporti con la collina, i muri di sostegno, i terrazzamenti e, in generale, la progettazione dell’intorno sembrano essere stati dimenticati o non adeguatamente presi in considerazione dalla committenza. Focalizzare l’attenzione progettuale unicamente sul manufatto del­l’ecclesia è un trend che ricorre in molti progetti contemporanei, quasi che il contesto, con la sua storia, possa essere escluso. Certo c’è un problema di risorse, ma l’architettura non è solo l’edificio, è anche la storia identitaria di un luogo, che merita la stessa attenzione che si ha verso il linguaggio del manufatto.