Identità e forza dell’icona
di Mario Botta
Una piccola collina alla periferia di Copenhagen viene indicata, nel 1912, da un comitato di cittadini per accogliere un’edificazione per onorare la memoria del vescovo, scrittore e poeta Nicolai Frederik Severin Grundtvig (1783-1872), personalità influente della cultura ottocentesca della Danimarca.
I risultati dei concorsi indetti a tale scopo non sfociano in realizzazioni concrete, ma qualche anno più tardi, nel 1921, viene posata la prima pietra di una straordinaria architettura urbana: la chiesa progettata dall’ingegnere Peder Vilhelm Jensen-Klint, studioso di edilizia vernacolare e appassionato “autodidatta”, interessato ai problemi dell’architettura nell’eco delle teorie delle “Arts and Crafts” inglesi rispetto alle culture artigianali e alle tradizioni popolari.
Per questo progetto Jensen-Klint guarda con attenzione le numerose chiese di campagna disseminate nel Paese e infine predilige una tipologia a tre navate, adottando un rigore geometrico assoluto, con un coro estratto da una base ottagonale e una torre di facciata semplicemente spettacolare, che preannuncia le forme linguistiche proprie dell’espressionismo. Questa scelta permette al progettista di mostrare la sua sapienza nell’uso del mattone, con risultati virtuosistici.
Il mattone di cotto (qui l’argilla dona una colorazione giallognola), che avvolge e domina le pareti, le volte e i pavimenti, conferisce omogeneità agli spazi che sembrano modellare un’immensa scultura costruita.
Dalla sua consacrazione, avvenuta nel 1940, a dieci anni dalla morte di Jensen-Klint, la chiesa s’impone come un’inedita forma identitaria per la Danimarca: una vera e propria immagine per il Paese, una testimonianza premoderna, preludio ai futuri anni nei quali la cultura, soprattutto nel campo del design, darà risultati significativi anche a livello europeo.
La forza d’impatto della chiesa nel contesto urbano, con gli edifici residenziali dell’intorno, non trova confronti possibili nell’ambito della cultura moderna. Bisogna risalire alle cattedrali del grande passato per poter rintracciare nella tipologia ecclesiale una analoga forza espressiva.
L’edificio di culto definisce una gerarchia impressionante per le dimensioni e per la forza iconica che restituisce la torre-facciata d’ingresso, caratterizzata nella parte bassa da una figura piramidale che dona unità alla chiesa retrostante, mentre nella parte alta un abilissimo gioco di cuspidi in cotto sottolinea la struttura tripartita delle navate.
L’interno spoglio offre un rincorrersi continuo di grandi pilastri geometrici che delineano linee verticali convergenti nelle volte a sesto acuto, a ricordo delle immagini di tradizione gotica.
Si tratta di un vero capolavoro novecentesco eseguito in mattoni di laterizio, che sfugge alle lusinghe e ai pericoli del “neo-gotico” per riaffermare riferimenti costruttivi con immagini moderne reinterpretate sulla base dei modelli delle molte architetture “popolari” presenti nella storia del territorio.
La chiesa di Grundtvig a Copenhagen è una testimonianza importante di una cultura all’alba del Ventesimo secolo, che scoprirà esempi come la Sagrada Familia di Gaudí, a Barcellona o, più tardi, la cappella di Le Corbusier a Ronchamp; esempi per i quali architetti e committenti hanno ritrovato lo spirito, l’energia e la speranza di quando le “cattedrali erano bianche”.