I Giubilei del Settecento. Folle e schiavi cristiani liberati
«Oggigiorno i pellegrini che vanno a Roma non sono più così numerosi come un tempo, perché si è presa l’abitudine di lucrare l’indulgenza giubilare nel proprio Paese». Così annotava l’anonimo autore dell’Histoire des indulgences all’alba del “secolo dei lumi”. Scismi, guerre, minacce dei turchi, eresie, la Rivoluzione francese e Napoleone impedirono certo i massicci afflussi di anni santi precedenti. Tuttavia per il Giubileo del 1700, sotto Innocenzo XII, non mancano descrizioni come quelle di un viaggiatore inglese che annota: «La folla continua a passare in ginocchio la Porta Santa di San Pietro con tale affluenza che non sono riuscito ancora a farmi strada per entrare». Per quello del 1725 restano le sequenze colte in diretta da Ludovico Sergardi, direttore della Fabbrica di San Pietro: «Fu tale il concorso di popolo per pigliare il Giubileo che seguirono molti inconvenienti, fu gittata a terra la gran balaustra di marmo nella Cappella del Gran Sacramento, che non lo crederei se non fussi andato la mattina seguente a riconoscere il danno che importa centinaia di scudi». Anche per gli anni santi del 1750 e del 1775 nonostante i commenti attribuiti a Voltaire («Ancora un Giubileo! Eppure se ne è fatta della filosofia!») i diari documentano una buona affluenza alla metà del secolo (nello stesso anno una guida di Roma è dedicata ai «forestieri e pellegrini che ad essa in quest’Anno Santo con incredibile copia sono accorsi e accorrono») e l’arrivo di sovrani per quello seguente: il “cristianissimo” re di Francia, il “cattolicissimo” imperatore d’Austria, il “devotissimo” re di Napoli...: tutti a inginocchiarsi dinanzi al papa (salvo poi umiliarlo nei congressi e nei trattati). Teste coronate a parte, dovendo scegliere un episodio significativo tra i Giubilei del XVIII secolo non avremmo dubbi. Perché fra i pellegrini a Roma nel 1725 balza agli occhi la presenza di quasi quattrocento schiavi liberati dai padri Mercedari a Tunisi. Nell’austerità di quell’Anno Santo fu forse l’unico spettacolo capace di stupire grazie a quell’Ordine dedito all’assistenza e al riscatto dei cristiani prigionieri dei Turchi. Questi del 1725 appartenevano a varie nazionalità e la loro libertà era costata oltre novantamila scudi. Si racconta che giunsero nell’Urbe tutti insieme a giugno, venendo ospitati nei locali dell’Arciconfraternita della Santissima Trinità, e da lì «li schiavi redenti tutti in forma di processione con il loro stendardino davanti» si mossero verso San Pietro. Dove furono ricevuti da Benedetto XIII che donò loro «una medaglia per ciascuno benedetta» e un’immaginetta raffigurante l’Agnus Dei. In più, regalò duecento scudi da distribuire ai più poveri e pagò le spese del vitto e dell’alloggio nell’Arciconfraternita per tre giorni oltre a quelli previsti per il soggiorno dei pellegrini.
Proprio nelle scorse settimane, ricevendo il Capitolo generale dei Mercedari papa Francesco, riconosciute le «grandi gesta» da loro «compiute in questi otto secoli», ha chiesto che il ricordo non si limiti «a una esposizione del passato» ma diventi «occasione privilegiata per un dialogo sincero e fruttuoso». La consegna del Papa è di portare l’annuncio «a coloro che sono perseguitati a causa della loro fede e privati della libertà, alle vittime della tratta e ai giovani delle scuole, a coloro che attendono un gesto di misericordia».
di Marco Roncalli