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Giovanni, il profeta dell’Agnello

di Maria Gloria Riva

​È l’ultimo dei profeti del Primo testamento e il più grande tra i nati nel Nuovo. Il suo nome era Giovanni, scelto fin dal seno materno per essere precursore del Messia. Visse nel deserto fino al giorno in cui, seguendo un’ora che solo Dio poté indicargli, si presentò misteriosamente sulle rive del Giordano per battezzare il popolo. L’arte lo ritrae nell’atto di predicare o di battezzare Cristo o, ancora, nell’ora suprema del martirio. La vita sofferta di Giovanni ebbe inizio da piccolo: alla dolce immagine di lui bambino intento a giocare con Gesù, si oppone quella della storia: attorno ai due anni di età, per sfuggire alla persecuzione di Erode, Giovanni si rifugiò con la madre a pochi chilometri da Ain Karem, sua città natale. Lí visse poi da adulto, nel deserto, cibandosi di miele e locuste.
Appare dunque quanto mai singolare l’opera attribuita al pittore fiammingo Geertgen tot Sint Jans: un Battista corpulento, affondato in un panorama boschivo e lussureggiante, seduto e pensoso con una vena di evidente melanconia. Di Geertgen poco si conosce: nacque a Leiden, intorno al 1460, e morì giovanissimo a circa venti anni. Qualcosa di più ci racconta il suo nome che significa “Piccolo Gerard dei Fratelli di San Giovanni”; egli entrò nell’ordine come fratello laico, ad Haarlem, in Olanda, attorno al 1480, e vi rimase fino alla morte. Delle sue due opere dedicate al Precursore, quella qui riprodotta, dal titolo Giovanni Battista nel deserto, affascina. Non s’era mai visto, nell’arte, un Battista così, fino a una successiva opera di Hieronymus Bosch (1499). Sembra che entrambi gli artisti si ispirassero all’incisione tedesca di un ignoto Maestro di San Giovanni. Geertgen ebbe forse modo di ascoltare i racconti dei crociati di ritorno dalla Terra Santa per rilevare come il deserto di cui parla il Vangelo poco abbia a che fare con ciò che comunemente s’intende.
Dalla valle di  Ain el-Habis, non molto lontano di Ain Karem, si sale verso una zona montuosa ove si erge un eremo detto San Giovanni del deserto. Qui il Battista, come vuole la tradizione, si ritirò per prepararsi alla missione, qui fu sepolta la madre.
Geertgen inserisce san Giovanni nel paesaggio naturale con la maestria tipica della sua sensibilità pittorica. Il Battista non è il profeta dalla voce imperiosa che chiede di preparare le vie al Signore, ma è l’uomo adamitico che incarna le relazioni totalmente rinnovate, vaticinate da un altro oracolo di Isaia (11,6-8): il lupo dimorerà con l’agnello, la pantera col capretto e il bambino con i serpenti più insidiosi. Tra gli animali che punteggiano la scena, scorgiamo i conigli e un istrice. I primi, secondo sant’Ambrogio, mutando il loro pelo da marrone, in inverno, a bianco, in estate, sono simbolo delle due nature di Cristo. L’istrice invece, quale animale notturno, è associato agli appetiti: con i suoi aculei infilza i frutti caduti a terra e li porta nella tana per divorarli. Annessa alla voracità è anche la gazza ladra, mentre altri animali, come l’uccello del paradiso, l’ibis e il cervo, divoratori di serpenti, descrivono l’ambiente paradisiaco che si snoda attorno alle rive del Giordano. Il Battista è dunque l’uomo che ha domato le passioni e, perfettamente integrato nella creazione voluta dal Creatore, è in grado di riconoscere il Nuovo Adamo, simboleggiato dall’Agnello aureolato che riposa alle sue spalle. La postura dei piedi, simile a quella che userà più tardi il Caravaggio per san Giuseppe nel suo celebre Riposo durante la fuga in Egitto, racconta la timorosa sorpresa di Giovanni di fronte alla passione che attende il Messia. L’atteggiamento della mano che gli regge il volto melanconico, lo mostra umano e titubante, al punto da domandare al Cristo, come ci informa il Vangelo: sei tu quello che deve venire o attendiamo un altro? Così Geertgen ci educa alla verità di un Messia, non liberatore dalle schiavitù terrene, ma umile Agnello sacrificale di cui proprio il Battista, anche con il suo martirio, sarà precursore.