Luoghi dell' Infinito > Giorgione

Giorgione

C’è un quadro che sta al centro della storia dell’arte italiana come un affascinante enigma. È la cosiddetta Tempesta di Giorgione, un dipinto su tela di dimensioni medio-piccole custodito a Venezia nelle Gallerie dell’Accademia. Il primo a parlarne è stato il conoscitore ed erudito Marcantonio Michiel che lo vide nel 1530, nella città lagunare, in Ca’ Vendramin. Così ne scrisse: «El paeseto in tela cum la tempesta, cum la cingana [zingara, ndr] et soldato, fo de man de Zorzi de Castelfranco».

L’attribuzione è esatta, impeccabile. Non così l’interpretazione del soggetto rappresentato. Chi siano e cosa significhino l’uomo e la donna con il bambino in primo piano (forse Adamo ed Eva nel Paradiso Terrestre, forse Marte e Venere, o forse la coppia è portatrice di un criptico messaggio religioso o filosofico) il Michiel non lo dice. Forse non lo sa o se lo sa lo ha dimenticato.

Capisce però che altro è il vero protagonista della teletta: un temporale d’estate nella campagna intorno a Castelfranco, nella “Marca zoiosa” di Treviso. Ci sono le nuvole nero-grigio-viola che rotolano nel cielo fattosi improvvisamente buio, c’è il vento che squassa le chiome degli alberi e c’è il fulmine che tocca di una luce livida, spettrale le mura del borgo. Un temporale d’estate, e dunque la natura nelle sue epifanie e nelle sue metamorfosi, può essere il “vero” protagonista di un quadro come saranno, secoli dopo, le ninfee galleggianti sullo stagno per Monet, la montagna Sainte Victoire per Cézanne, i paesaggi versigliesi e maremmani per i Macchiaioli. In questo senso quel piccolo quadro dipinto da Giorgione, un pittore che la peste portò via ad appena trent’anni di età, è un’opera rivoluzionaria, carica di futuro.

Si può fare pittura – questo ci insegna Giorgione – semplicemente guardando il cielo durante una subitanea bufera estiva e può anche accadere che sia quella, e non altre la cosa destinata a rimanere memorabile. Infatti Michiel vide, trovò degno di attenzione e volle ricordare il fenomeno meteorologico, non il soggetto religioso o mitologico rappresentato. Con quel nome (La tempesta) il dipinto è ancora oggi da tutti conosciuto.

“Pittura tonale”, così i manuali di storia dell’arte definiscono lo stile di Giorgione. Pittura tonale vuol dire la rappresentazione del colore che luce e ombra modulano in infiniti passaggi, in “toni” appunto. Da essi è costituita la splendente immagine del vero visibile. All’origine della pittura moderna c’è lo stupore di Giorgione di fronte a un panno rosso o uno stendardo di velluto, di fronte a un elmo lucente o un volto di donna: che esistono e sono veri perché li fa esistere la luce colorata. Ed è lo stupore che incontriamo quando Giorgione contempla, nella Pala di Castelfranco, il paesaggio veneto tremante nel sole, dentro la luce meridiana che accarezza tutte le cose e le fa splendere di vibrazioni sottili. Ed è ancora lo stupore davanti al fulmine che incendia un pomeriggio d’estate, davanti al fremito degli alberi e alle nuvole nere che rotolano nel cielo della Tempesta.

Dopo verranno Tiziano e Lorenzo Lotto, Renoir e Monet ma intanto, nella storia dell’arte, la meraviglia di fronte al miracolo della natura comincia da qui, dalla teletta «cum la tempesta, la cingana et soldato» che un giorno Marcantonio Michiel vide in Ca’ Vendramin.

di Antonio Paolucci