Gentile porta il mondo a Betlemme
«Dov’è il re dei giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per adorarlo». Così l’evangelista Matteo (2,2). Alla origine della storia dei Magi ci sono queste poche parole presenti nel primo dei Sinottici. Queste parole hanno dato origine alla favola più bella, più popolosa e variopinta dell’intera iconografia cristiana.
E infatti chi erano – si chiesero fin da subito i fedeli e i loro artisti – i visitatori che arrivarono alla grotta di Betlemme guidati dalla stella? Erano sapienti portatori di antiche esoteriche profezie? O forse erano re, sovrani di paesi lontani? O magari erano le due cose insieme? In ogni caso se venivano da lontano (forse dalla Persia, forse dalla Cina, forse dall’Africa nera) chissà che singolare seguito di uomini e di animali avranno avuto con loro! Ce n’era abbastanza per alimentare la fantasia. Fu così che il destino universale della Rivelazione annunciata prima ai pastori di Galilea e poi ai sapienti della terra, diventò, per gli artisti, occasione di incursioni in esotici e perciò affascinanti universi.
L’interpretazione probabilmente più conosciuta della Adorazione dei Magi è quella che Gentile da Fabriano dipinse per il banchiere fiorentino Palla Strozzi, firmandola e datandola al 1423, oggi custodita agli Uffizi. È il capolavoro del pittore marchigiano ed è una delle icone somme della civiltà artistica d’Occidente. Qualunque manuale, anche il più sintetico, di storia dell’arte non può esimersi dal pubblicarlo come perfetto emblema di quello stile sontuoso, aristocratico, straordinariamente raffinato che attraversa l’Europa fra XIV e XV secolo e che si è soliti definire “gotico internazionale”.
La cornice della pala di Gentile è complessa e preziosa come una cattedrale, gremita com’è di profezie mariane, con il Cristo benedicente e l’Annunciazione nella parte alta, popolata di fiori dipinti con infinita sapienza botanica, rampicanti fra il fogliame in legno intagliato e dorato. All’interno di un così straordinario apparato che ci fa intendere il grande costo dell’opera (ma il banchiere, nonché politico, letterato e filologo Palla di Noferi Strozzi poteva permettersi questo e altro...) c’è il racconto dei Magi vero e proprio.
Come un regista chiamato a filmare un’azione in movimento, il pittore immagina che il corteo si snodi in profondità, sfiorando le mura della città lontana e attraversando la campagna. Nella “ripresa a distanza ravvicinata” possiamo cogliere in primo piano i sovrani venuti da Oriente anche dal punto di vista, per così dire, “sociologico”, sotto l’aspetto cioè del rango e del censo. I Magi di Gentile sono gran signori, gente di squisita eleganza e di iperbolica ricchezza. È come se, per l’Epifania del 1423, alla culla di Betlemme fossero arrivati a rendere omaggio a Gesù Bambino i duchi di Milano e di Borgogna, lo scià di Persia o il Kublai Khan di cui parla Marco Polo.
Un accumulo prodigioso di vesti broccate d’oro, di sete policrome, di cavalli e di cani di gran prezzo, di scimmie e di ghepardi, si rovescia ai piedi della Vergine che offre il suo Bambino all’universo mondo, a quello domestico ma anche a quello esotico. E infatti non mancano, fra gli astanti, fisionomie asiatiche, mongole e turchesche.
I più sorpresi sembrano essere il bue e l’asino, perplessi e un po’ sconcertati di fronte al mutamento di scena. Fino a ieri c’erano i pastori, i poveri, gli ultimi. Oggi ci sono i signori con i loro servitori che custodiscono cani e cavalli, falchi e ghepardi da caccia, e staccano gli speroni dalle calzature dei loro padroni. Come sta facendo il ragazzo al servizio del re giovane e biondo in primo piano al centro della scena, forse ritratto idealizzato del committente Strozzi.
di Antonio Paolucci