Luoghi dell' Infinito > GIovanni Bellini pittore di Maria

GIovanni Bellini pittore di Maria

​Esce dall’oscurità e avanza verso la luce il Cristo bambino sorretto dalla madre e attorniato da angeli e santi. L’opera, appartenente alla Collezione Luzzetti, è ritenuta una copia di pregevole fattura dell’originale di Giovanni Bellini conservato al Louvre. Sono più di ottanta le tavole che ci ha lasciato, di piccole dimensioni e destinate al mercato privato e devozionale. Influenzato da Antonello da Messina, che attorno al 1475 sostò a Venezia, il Bellini iniziò a sperimentare tecniche fiamminghe e a utilizzare la pittura a olio. A questo periodo, attorno agli anni Ottanta, sembra appartenere la Madonna col Bambino fra i santi Pietro e Sebastiano del Louvre. Nella luminosità del colore e dell’incarnato si registra l’influsso dell’artista messinese. La copia invece, attribuibile per alcuni ad Alvise Vivarini, per il fondo scuro che la caratterizza ha i colori più cupi. Maria ostende il divin Figlio colto nell’atto di balzare dal grembo materno al parapetto. Un tale slancio è frenato dalla Vergine che, pensierosa, pare trattenerlo. Se nella versione del Louvre la Madonna veste il giallo oro, qui il manto è verde, colore della vita, mentre l’abito scuro la denuncia come Addolorata, già dolente per la sorte del Figlio. Gesù Bambino guarda verso un orizzonte lontano, lo stesso ove dirige lo sguardo il giovane san Sebastiano, un punto probabilmente oscuro a giudicare dalla pupilla leggermente dilatata ben visibile nell’occhio chiaro. Gesù, alzando la mano destra, si porta le dita alla bocca, che si flette in una piega amara: un gesto tenero, ma timoroso, tipico degli infanti. L’ambiguità è voluta: la mano, che doveva sollevarsi per impartire al mondo la benedizione divina, si blocca, invece, per la paura della morte. È così messa in evidenza la vera umanità del Salvatore, che non impedisce l’offerta sacrificale, ma la rende più vera.
San Sebastiano, a differenza della versione del Louvre, reca le frecce della sua tortura. Particolare che manifesta la meta verso la quale il santo, insieme col Cristo, sta guardando: quella del martirio. San Pietro conserva lo stesso atteggiamento severo della versione belliniana, ed è l’unico a dirigere lo sguardo verso di noi, quasi a interrogarci su come ci poniamo di fronte alle sofferenze della vita e quanto accettiamo di seguire le orme del nostro Redentore. I tre putti, dai contorni marcati nello stile proprio del Vivarini, sono identificabili, a causa del colore delle ali, con un serafino e due cherubini. Il numero allude al Mistero Trinitario che Cristo è venuto a rivelare. L’angelo centrale è rivolto verso il Padre, quasi a cercare conferma circa la volontà divina dell’Incarnazione. Quello più a destra volge gli occhi verso il basso, presagendo il dramma della croce. L’ultimo, a sinistra, è pensoso e assente, come la Vergine Maria. I tre angeli indicano tre modi di stare davanti al Mistero del dolore: confidando in Dio, fissando lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede, oppure, come Maria, restando saldi nella fede, in attesa di un aiuto dal Cielo. Una tale iconografia, basata su una figura retorica detta prolessi, ovvero rappresentazione di un fatto anticipandone il suo destino finale, si carica di maggior drammaticità nella copia. Il parapetto sul quale il Cristo cammina è il punto più avanzato del dipinto. Il divino infante sembra voler uscire dal dipinto per raggiungerci. Se il volto tradisce la paura, il corpo è già teso nella dimensione dell’offerta per la nostra salvezza.
“Alla luce del Bellini”. Grosseto, Polo culturale Le Clarisse, fino al 9 gennaio 2022. Mostra realizzata in occasione della Settimana della Bellezza. Info: clarissegrosseto.it