Fra Mauro e il nome delle cose
Franco Farinelli
In un suo libro Borges evoca la figura di un uomo che si propone di disegnare il mondo e passa la sua vita a popolare «uno spazio con immagini di province, di regni, di montagne, di baie, di navi, d’isole, di pesci, di dimore, di strumenti, di astri, di cavalli e di persone». Soltanto alla fine dei suoi giorni l’uomo scopre che il disegno cui ha dedicato l’intera sua vita non raffigura la Terra, bensì il proprio viso. Sembra davvero la storia di fra Mauro, il camaldolese che nel convento di San Michele sull’isola di Murano disegna, a metà del Quattrocento, un mondo che fino ad allora nessuno aveva mai visto, in una mappa che meglio e più di ogni altra testimonia la fine del Medioevo e l’inizio dell’età moderna. E lo fa con la lingua e i modi di una città, cioè di una cultura, unica e specialissima, quella di Venezia, la repubblica marinara che considerava l’intero mar Adriatico come il suo proprio, esclusivo golfo.
La mappa di fra Mauro va anzitutto ammirata come un’opera d’arte, come una cosa concepita per essere prima di tutto contemplata, per essere oggetto di sguardi perché una festa per gli occhi, una maestosa, amplissima figura della faccia della Terra come era allora conosciuta in Occidente: circa quattro metri quadri di pergamena finemente dipinti, istoriati e ornati con oltre tremila iscrizioni, che nel loro insieme costituiscono un vero e proprio trattato cosmografico.
Cosmografia era allora il nome che si dava al sapere relativo alla misura e alla rappresentazione del mondo, all’insieme dei modelli che servivano a dar conto e ragione di esso e della sua posizione nell’universo, e perciò includeva l’astronomia e la filosofia naturale, oltre alla geografia. Secondo la logica cosmografica, quest’ultima dipendeva dalle prime due, nel senso che la spiegazione della distribuzione degli elementi terrestri, dei popoli e di conseguenza dei loro commerci discendeva da relazioni che toccava alla prima appurare, e alla seconda rapportare al nostro pianeta. La geografia era insomma una forma di conoscenza costretta a cercare fuori da sé le regole relative all’oggetto della propria indagine. E proprio a tale rapporto fra Mauro darà una personalissima soluzione. La cosmografia era a quel tempo la forma per eccellenza di quel dinamico sapere al cui interno s’incontravano e raccordavano la cultura alta dei dotti e quella bassa di chi non conosceva il latino ma aveva pratica dell’abaco e dei viaggi. Perciò fra Mauro ricorre a “nomi moderni e vulgari”, secondo l’uso degli uomini di mare, dei mercanti e degli artigiani, le cui cognizioni echeggiavano sia le arti meccaniche che quelle liberali. Da secoli la lingua di Venezia era in realtà una vera lingua internazionale, conosciuta e praticata non soltanto in tutto il Mediterraneo, ma anche sulla costa atlantica e in Oriente, oltre che nei principali centri europei, secondo l’irradiazione dell’impero mercantile di San Marco.
La vera ragione per cui la mappa di fra Mauro inaugura la versione moderna del mondo però è un’altra, e riguarda la posizione del Paradiso. Fino ad allora quest’ultimo era concepito come un reale luogo terrestre. Il giardino dell’Eden veniva raffigurato all’interno della Terra emersa, anche se sempre sulla soglia della Terra di fatto conosciuta. Anche per fra Mauro il Paradiso resta «molto remoto da la habitation e cognition humana». Egli però è il primo a collocarlo nel campo cosmografico esterno alla vera e propria figura terrestre, nell’angolo in basso a sinistra della rappresentazione, segno dell’avvio della separazione tra la cosmografia e la geografia, che fa in tal modo un grande e decisivo passo verso l’emancipazione dalla diretta dipendenza nei confronti di un superiore e metafisico mondo di valori. E questo perché inizia a obbedire a un codice diverso. Come si trova scritto sulla mappa: «quelli che vol intender prima creda», per intendere è anzitutto necessario credere, secondo il detto di sant’Agostino. Ma la fede fa parte, per fra Mauro, di quelle che oggi i fisici chiamerebbero le “condizioni al contorno” della conoscenza geografica, vale all’interno del più ampio recinto quadrangolare che rappresenta la struttura del cosmo, e che contiene anche la rappresentazione della circolare figura terrestre. Al cui interno sparisce ogni metafora, ogni significato ultraterreno di quel che invece inizia a essere soltanto terreno. Proprio come su tutte le mappe moderne accade, i nomi e i segni non evocano più nessun significato metafisico. E per la prima volta un fiume è soltanto un fiume, e una montagna soltanto una montagna.