Farsi prossimo alla terra, la nostra casa comune
Il primo settembre papa Francesco, in occasione della Giornata mondiale di preghiera per la cura del creato, ha proposto un complemento ai due tradizionali elenchi delle sette opere di misericordia corporali e spirituali: la misericordia verso la nostra casa comune.
Come opera di misericordia spirituale, richiede «la contemplazione riconoscente del mondo», che «ci permette di scoprire attraverso ogni cosa qualche insegnamento che Dio ci vuole comunicare». Come opera di misericordia corporale, richiede i «semplici gesti quotidiani nei quali spezziamo la logica della violenza, dello sfruttamento, dell’egoismo e si manifesta in tutte le azioni che cercano di costruire un mondo migliore».
«Chi è il mio prossimo?», chiede a Gesù un dottore della legge (Lc 10,29), e Gesù non risponde con una definizione ma con una parabola, che indica un movimento da compiere: prossimo è ciò con cui si entra in relazione. Il prossimo è colui a cui io mi faccio prossimo. È l’uomo, derubato e abbandonato sulla via di Gerico. Passano anche altri per quella strada, uomini di chiesa, e tutti “vedono”, ma il samaritano è l’unico che «vede e ha compassione». Il suo è uno sguardo misericordioso. Perciò si fa prossimo. Le parabole di Gesù sono un invito a cambiare sguardo.
La terra oggi assomiglia all’uomo bastonato sulla via da Gerusalemme a Gerico: «L’uomo ha devastato senza esitazioni pianure e valli boscose, inquinato le acque, deformato l’habitat della terra, reso irrespirabile l’aria, sconvolto i sistemi idro-geologici e atmosferici, desertificato spazi verdeggianti, compiuto forme di industrializzazione selvaggia, umiliando la terra, nostra dimora». Per tutto questo «l’umanità ha deluso l’attesa divina» (Giovanni Paolo II).
Questo nostro tempo ci chiede con urgenza di cambiare sguardo e di farci prossimi di tutto ciò che vive. Ci chiede di allargare mente e cuore, di spalancare a spazi più vasti la nostra misericordia e le pratiche che da essa derivano.
Farsi prossimi è un cambiare sguardo che muove all’azione e permette la vera conoscenza, che «non cerca di afferrare o controllare, ma rispetta il mistero dell’altro [... ] una conoscenza amorosa che comporta umiltà e stupore davanti al mondo naturale» (Denis Edwards).
È sul Dio che abbiamo nel cuore che costruiamo le nostre idee sul mondo e le nostre relazioni con gli altri. All’alba della modernità Bacone affermava che compito dell’uomo è imitare il più possibile l’onnipotenza di Dio tramite la scienza e la tecnica. Noi siamo il prolungamento, forse la fase finale, di un progetto di dominio iniziato secoli fa a danno dei poveri, delle donne e della natura.
Ma oggi è al Dio che si spoglia della sua onnipotenza per incarnarsi che guardiamo, al Dio che lava i piedi ai suoi amici, si fa pane per loro e per loro muore. All’umanità è chiesto di dominare (Gn 1,28) la natura come domina il Dominus, nostro Signore, che di mestiere fa il vignaiolo e il pastore buono: è questa la nuova narrazione su cui possiamo costruire il mondo nuovo, ed è una narrazione materna: «Il dono, la cura, l’accoglienza dell’altro come singolarità irripetibile, nella convinzione che non esiste alcuna ricchezza al di fuori della vita stessa» (Bruna Bianchi)
di Ermes Ronchi e Marina Marcolini