Elogio delle vecchie zie
Antonia Arslan
Noi le chiamavamo “le sioréte”, comprendendo in questa parola leggermente sprezzante tutto un vasto e frastagliato universo femminile variopinto, permaloso e sollecito. Erano signore d’età indefinibile, un po’ pettegole (spesso vedove); oppure zie non sposate che vivevano in casa dei fratelli (in precaria e litigiosa armonia con le loro mogli) o con i vecchi genitori; e poi le domestiche anziane sempre in giro da casa a casa, e quelle “pensionate”: ed era tutto questo piccolo mondo che in realtà costituiva la base vivace e attiva del sistema di relazioni sul quale si basava il nostro vivere quotidiano.
Questa era in un certo senso l’acqua in cui ogni famiglia nuotava: un mare di elastiche connessioni personali, spesso bizzarre e un tantino dispettose fra caratteri diversi, livelli sociali diversi e diverse età, che permetteva la circolazione quasi immediata in tutto il quartiere di notizie fresche, lutti e matrimoni e piccoli scandali destinati ad essere presto riassorbiti nel generale e costante chiacchiericcio, di solito però discretamente benevolo. E comunque attentissimo a distinguere il “noi” dal “loro”, a salvaguardare gli invisibili sottili confini della convivenza sociale interna attraverso impercettibili – e deliziose - sfumature di modi.
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