E così Maria nacque in una casa veneziana
Nel 1504 Vittore Carpaccio stava lavorando alla Scuola degli Schiavoni a Venezia e la sua indiscussa abilità era messa alla prova da stili emergenti che poco avevano a che fare con la sua arte. Giorgione, con il suo tratto personalissimo e diverso, si imponeva sulla scena riscuotendo sempre più successo. In tale contesto Carpaccio ricevette il compito dalla Scuola degli Albanesi (rivale degli Schiavoni) di eseguire un ciclo dedicato alle storie della Vergine. La nascita di Maria è ambientata in una signorile casa veneziana del tempo; dietro a piccoli particolari, apparentemente promessi al decorativo, s’indovina un universo simbolico capace di educare alle virtù nascoste dell’evento. Anna riposa nell’alcova, separata dallo sposo Gioacchino, che ci introduce nella meditazione dell’avvenimento. Egli contempla la Bimba che, in braccio alla levatrice, reagisce alle sollecitazioni del genitore. Tutto è lindo: la tinozza destinata a pulire la Bimba dal sangue del parto; la piccola ciotola di legno accanto alla levatrice; le fasce in primo piano che una domestica sta preparando per avvolgere la neonata, e il panno che un’altra inserviente fa asciugare al fuoco. Il cenno stesso della levatrice all’acqua ci fa intuire che qualcosa di unico caratterizza questo parto. Maria sembra aver regalato alla madre Anna una nascita priva di doglie. Pur essendo questa nascita, a differenza di quella del Salvatore, avvenuta in modo naturale dai due anziani genitori, altri simboli raccontano il suo carattere divino. La tradizione, infatti, vuole che Gioacchino e Anna, sterile e di età avanzata, ricevessero, grazie alla preghiera, il dono di questa insperata maternità.
Davanti alla porta che introduce in altre stanze due conigli si contendono un cavolo. Il concepimento di Maria avvenne l’8 dicembre e il cavolo era alimento capace di garantire in inverno vitamine e minerali. Inoltre, essendo raccolto nove mesi dopo la semina, tempo della gestazione di un bimbo, è simbolo di fecondità e di vita. Il coniglio, per il mutamento del suo mantello (marrone in inverno e bianco in estate) è, secondo sant’Ambrogio, simbolo delle due nature di Cristo. I due conigli indicano così che la fecondità ad Anna fu concessa in vista di un’altra nascita, quella di Gesù. Una scritta ebraica campeggia sopra una mensola e canta il Trisagio: «Santo, Santo, Santo in eccelso, Benedetto colui che viene nel nome del Signore». Questa Bimba ha a che fare con le promesse fatte ai patriarchi e a Davide, ribadite dai profeti: la Vergine concepirà un figlio, il Dio con noi. Non semplicemente un Dio Unico come si era manifestato ai padri, ma un Dio Trinitario.
La fecondità e la verginità di Maria sono descritte nei simboli posti sulla mensola: un limone, una pera, un cedro. Il limone era ritenuto potente antidoto contro i veleni, così la profumata verginità della Madonna è antidoto contro il fetore del peccato, prodotto con la caduta di Adamo. La pera è, da sempre, simbolo della Madre di Dio: se da un lato la sua forma rimanda al corpo gravido della donna, dall’altro i suoi fiori bianchi simboleggiano la verginità. Il cedro è immagine del giusto (cfr Sal 92) e, in tal caso, potrebbe rimandare agli stessi Gioacchino e Anna, giusti presso Dio. Esso è però anche simbolo della sposa, pur essendo qui raffigurato un citrus medica (albero da frutto), confuso spesso nell’arte con il cedro del Libano (conifera), simbolo cui si riferisce il Cantico dei Cantici che inneggia alla Sposa.
In un unico sguardo il Carpaccio ci permette di assaporare la serena compostezza di una casa fra le cui pareti è germogliata la salvezza per l’umanità intera.