Copernico e Colombo
Nel Cinquecento – tempo di mondi inediti – sono almeno due i personaggi che esprimono l’anelito di conquista e conoscenza dello spazio. Uno è un astronomo che, con le sue scoperte celesti, sconfesserà la cosmologia tolemaica tanto aderente alle teorie bibliche sull’ordine dell’universo; l’altro è un celeberrimo navigatore, consapevole del valore delle sue scoperte anche per l’espansione del cristianesimo. Anche per loro la meta di Roma – che con i suoi pontefici rinnova gli appuntamenti con il Perdono, guardando attenta ai nuovi cieli e alle nuove terre – è stata importante. Parliamo di Niccolò Copernico, presente nell’Urbe al Giubileo del 1500, e di Cristoforo Colombo, un pellegrino del mondo tanto lontano da Roma, ma con la città dei papi nel cuore, e che di sé alla fine di quell’anno scriveva: «Dio ha fatto di me il messaggero del nuovo cielo e della nuova terra di cui parla l’Apocalisse» (pur rientrando in Spagna in catene).
Ma cominciamo con Niklas Koppernigk, questo il nome originale di Copernico. Rimasto orfano e adottato dallo zio, un canonico poi vescovo, fu da questi inviato in Italia a studiare diritto e medicina, dopo gli studi di astronomia fatti a Cracovia. Così da Bologna, dove continuava a coltivare l’interesse per l’astronomia, il ventisettenne Niccolò raggiunse Roma per l’Anno Santo indetto da Alessandro VI. Lì osservò pure l’eclissi di luna del 6 novembre e tenne lezioni di astronomia e matematica.
Famoso per la teoria “eliocentrica”, questo scienziato (che aveva osato dire che Giosuè si era sbagliato) fu autore di scritti importanti nei quali la revisione di secolari concezioni astronomiche trovò sponda proprio nei viaggi di Colombo, che non solo posero fine all’incredulità sulla sfericità della Terra, ma pure sull’impossibilità di navigare l’oceano.
Quanto al gran genovese, l’eco dell’Anno Santo di papa Borgia pervenne anche a lui, ben conosciuto negli ambienti della Chiesa. Anzi, se sono solo probabili i contatti di Colombo con Sisto IV e Innocenzo VIII – i due papi liguri succedutisi dal 1471 al fatidico 1492 –, certissimo è il rapporto speciale a distanza proprio con lo spagnolo Rodrigo Borgia. Lo documentano la Bolla Inter Coetera dove Alessandro VI elogia Colombo (“uomo degno e di molta fiducia”), e le lettere inviate al papa da Colombo, che si sentiva destinato da Dio alla sua missione, e pur agendo in nome dei sovrani spagnoli si firmava XRO FERENS (Christoferens), cioé portatore del Cristo. Non solo, il padre del Nuovo Mondo, che dopo la grande scoperta aveva più volte dichiarato di voler recarsi a Roma (anche per render conto al papa direttamente delle sue imprese), ma ne era stato impedito da nuovi incarichi dei sovrani di Spagna, proprio scrivendo loro una lettera datata «nelle Indie nella isola di Ianaica a 7 di Iulio del 1503», così concludeva: «Pianga per me chi ha carità, verità, o giustizia. Io non venni a questo viaggio a navigare per guadagnare onore né roba: questo è certo, perché la speranza era del tutto già persa; ma vi venni per servire a Vostre Maestà […] Supplico a Vostre Maestà che, se Dio vuole che possa di qua salirmi, che mi vogliano concedere, e abbiano per bene che io vada a Roma e altre peregrinazioni. Cui e vite e alto stato la Santa Trinità conservi e accresca».
di Marco Roncalli