Con Lotto, soli nella notte del Golgota
Per incontrare la Crocifissione più tragica, più emozionante e coinvolgente della storia dell’arte italiana, bisogna andare nel cuore profondo della Marca di Macerata, a Monte San Giusto. È un dipinto su tela che diresti più grande della chiesa che lo ospita. Questa è la sensazione che provai, molti anni fa, la prima volta che la vidi. Uno entra in Santa Maria della Pietà, una chiesa tutto sommato abbastanza piccola, e si trova di fronte, smisurata, la pala con la Crocifissione. Non sono solo le dimensioni fisiche: cinque metri d’altezza, quasi tre di larghezza. È questione di totale incombenza. Lo spettatore viene come catturato e dimentica tutto il resto. A Monte San Giusto, Lorenzo Lotto ha messo in figura il teatro totale; il teatro che esce dalla scena e obbliga l’astante a partecipare.
La pala di Monte San Giusto è ben documentata. Sappiamo che Lorenzo Lotto la dipinse a Venezia fra il 1525 e il 1529 l’anno della messa in opera all’interno della chiesa. Sappiamo che il committente era Niccolò Bonafede, all’epoca titolare della diocesi di Chiusi e potente uomo di curia, ben addentro agli intrighi politici. Eccolo, sulla sinistra, in primo piano, il donatore. Lo vediamo mentre entra, anzi mentre viene fatto entrare nella scena, nello spettacolo in atto. L’angelo alle sue spalle quasi lo spinge con solerte impazienza. Già questo è un concetto religioso straordinario, inedito, credo, nella storia dell’arte. Come se Lotto volesse dirci che sì, nessuno di noi, né il Bonafede né alcun altro, ha voglia di pensare al sacrificio di nostro Signore. Se ci pensassimo davvero la nostra vita cambierebbe. Bisogna che qualcuno ci obblighi a farlo, che una mano provvidenziale ci butti letteralmente dentro il mistero vertiginoso della Passione. Dietro il committente inginocchiato, la tradizione vuole che il suo santo patrono lo presenti alla misericordia dell’Altissimo. In questo caso no. Di fronte al Golgota ognuno di noi è solo con la propria coscienza (qui rappresentata dall’angelo) che vuole persuaderci al rimorso e al pentimento. E i documenti storici ci dicono che il Bonafede, capitano militare di Santa Chiesa e governatore duro fino alla spietatezza, di peccati da farsi perdonare sicuramente ne aveva.
L’altra singolarità che subito colpisce in questa Crocifissione è il cielo. Per la prima volta nella storia della pittura – o almeno con questa straordinaria evidenza – viene rappresentata una eclissi di sole. Perché di questo si tratta. “Si fece buio su tutta la terra”, dice il Vangelo. Ed ecco il prodigio, il buio che divora il cielo, il sole che si spegne moltiplicando lo stupore e l’orrore. Non si potevano significare in modo più efficace il tempo sospeso, il dramma cosmico del Venerdì Santo.
Molte cose si potrebbero dire della Crocifissione di Monte San Giusto. Sulla profonda tormentata religiosità del suo autore, per esempio. Lorenzo Lotto è un grande spirito religioso, uno dei pochi nella storia artistica italiana insieme a Michelangelo, a Barocci, a qualche lombardo come Moretto e Savoldo e pochissimi altri. Vale la pena di ricordare che il primo ad accorgersene, proprio davanti alla Crocifissione, fu nel 1895 un giovane ebreo cosmopolita e agnostico che si chiamava Bernard Berenson. Fu lui a sottolineare per primo la forte carica religiosa – una religiosità dolente, anticonformista, “borderline” – che abita questo quadro e lo rende ai nostri occhi indimenticabile.
di Antonio Paolucci