Cherubini e il testamento del Requiem
Da pubblico e critica è stato definito “l’altro” oppure anche “il suo”. Il Requiem in re minore di Luigi Cherubini (1760-1842) è stato infatti da un lato quasi adombrato dalla fama del celeberrimo Requiem in do minore (1816), ma rispetto al precedente adattamento musicale della Missa pro defunctis presenta un indiscutibile valore aggiunto, almeno per il suo autore: si tratta infatti dell’ultima opera di grande respiro realizzata dal compositore fiorentino, concepita a partire dal 1836 – quando il maestro aveva 76 anni – con il dichiarato intento che venisse eseguita in occasione delle sue esequie.
Sarà forse per questo che il Requiem in re minore presenta sin dalle battute iniziali toni maggiormente cupi e sommessi, ed è attraversato da un continuo gioco di contrasti drammatici che lo riporta sulla ribalta di una dimensione quasi teatrale. Nulla a che vedere però con i leggendari e misteriosi retroscena premonitori che accompagnarono la stesura dell’estremo Requiem di Mozart; piuttosto un intimo e personale affresco sonoro dedicato al tema della vita (e quindi della morte), caratterizzato da una lucida visione estetica e da un’elevata connotazione spirituale, di grandissima suggestione in alcuni inarrivabili passaggi.
Nel confronto con la versione in do minore, medesimi risultano l’impianto strutturale e l’organico, che non prevede l’utilizzo di cantanti solisti, ma unicamente di un coro (solo maschile, a tre voci: tenori alti, tenori e bassi) e di una ricca compagine orchestrale (flauti, oboi, clarinetti, fagotti, corni, trombe, tromboni, timpani e archi). Diverse appaiono invece alcune decisive scelte stilistiche ed espressive, sfumature differenti che danno vita a un’atmosfera più interiorizzata e severa, sotto la spinta ideale di una tensione trascendentale e di un anelito al raccoglimento che apre le porte alla preghiera.
Il Requiem in re minore fu eseguito per la prima volta il 25 marzo del 1838 dalla Société des Concerts du Conservatoire, ma il giorno cui era veramente destinato arrivò solo alcuni anni dopo, il 20 marzo del 1842, quando i funerali di Cherubini vennero celebrati nella chiesa parigina di Saint-Roch, alla presenza di illustri colleghi come Rossini, Auber, Halévy e dei giovani Franck e Gounod. E a quel punto a tutti i presenti risultò evidente quale fosse il disegno complessivo dell’opera e come l’incedere pacificante dell’Introitus che prelude al Kyrie, la forza d’urto del tumultuoso Dies irae, l’afflato doloroso del Lacrymosa o la serena dolcezza del Pie Jesu fossero tasselli ordinati di un grandioso mosaico che andava ricomponendo non tanto il clima solenne e di fiduciosa speranza che apriva continui spiragli di luce tra le pagine della partitura del 1816, quanto invece una serena meditazione di un uomo giunto al pieno della propria parabola esistenziale e creativa: senza rimpianto o rassegnazione, quanto piuttosto con lo spirito indomito di chi sente avvicinarsi l’appuntamento con il Destino ed è pronto a portare in dono il frutto estremo della sua arte.
• Invito all’ascolto. Luigi Cherubini, Requiem in re minore. Ambrosian Singers, Philharmonia Orchestra, Riccardo Muti (Warner); Czech Chorus Prague, Czech Philharmonic Orchestra, Igor Markevitch (Deutsche Grammophon / Universal).
di Andrea Milanesi