Cemento e luce alla periferia di Pamplona
Il progetto è stato scelto dopo un concorso indetto dall’Arcidiocesi di Pamplona nel 2000. Erano richieste la costruzione di una chiesa per quattrocento persone e di una cappella per cento fedeli, oltre a un centro parrocchiale comprendente sale di riunioni, uffici, abitazioni per il clero e i relativi servizi. Il tutto da inserire nella pianificazione urbana, di recente attuazione, caratterizzata da blocchi di residenze su otto piani. Erano da prevedere anche due piazze pubbliche ai lati della futura chiesa.
La tipologia adottata dagli architetti ha, di fatto, reinterpretato le scelte urbanistiche del piano, con l’“invenzione” di un atrio d’ingresso (vestibolo) come snodo centrale fra la chiesa e il centro parrocchiale. Questa soluzione è risultata essere ingegnosa in quanto configura un’aula esterna recintata che funge da snodo obbligato per i fruitori.
L’impianto semplice e razionale dello schema proposto ha donato una maggiore fluidità ai percorsi urbani dell’intero isolato. Infatti, la chiesa, l’atrio comune e il centro parrocchiale assumono una propria centralità grazie a una costruzione che raggruppa le tre funzioni in una sola immagine che prende forma attraverso un recinto murario di tre piani d’altezza. È un intervento architettonico forte e risolutivo che si contrappone alla pluralità dei linguaggi dell’intorno; una soluzione coraggiosa che considero vincente, semplice e funzionale perché usa l’architettura come immagine di riferimento e di sintesi per lo spazio urbano.
All’interno, lo spazio principale della chiesa maggiore viene separato longitudinalmente con una trave-parete che delimita la cappella feriale. La divisione, apparentemente scontata, di una fetta marginale dello spazio, delinea magistralmente un volume “miesiano” (Mies van der Rohe) che offre una luce zenitale sorprendente e richiama anche, idealmente, la sezione aurea di lecorbusieriana memoria. L’illuminazione totale delle due pareti di fondo dei presbiteri assume un’egemonia spaziale con una variazione continua della qualità architettonica: un modo nuovo per vivere i 365 giorni dell’anno.
Per concludere questa segnalazione di un concorso d’architettura che ha avuto un esito particolarmente felice, vorrei richiamare al lettore due aspetti che stanno alla base di questo risultato positivo. Primo, quello degli architetti – lo studio Tabuenca & Leache – che non si sono lasciati scoraggiare dalla precarietà del contesto periferico problematico che doveva accogliere la nuova architettura. La dimostrazione che un’opera d’architettura di qualità può riscattare un modesto intorno. Secondo, l’uso del calcestruzzo armato, tanto deprecato recentemente, che – e lo dimostra questo esempio – se ben utilizzato può competere con altri materiali più pregiati. Servono la qualità dell’opera, l’armonia degli spazi e l’impiego appropriato della luce naturale che, in questo caso, sa essere protagonista della composizione architettonica e ci permette di comprendere le parole del nostro costante punto di riferimento, ossia Le Corbusier: «Lo spazio è dentro di noi; l’opera può evocarlo ed esso può rivelarsi a coloro che lo meritano, a chi entra in sintonia con il mondo creato dell’opera, un vero altro mondo. Si spalanca allora un’immensa profondità che cancella muri, scaccia le presenze contingenti, compie il miracolo dello spazio indicibile».
Chiesa e centro parrocchiale di San Jorge (2000-2008),
Pamplona. Architetti: Tabuenca & Leache.
Committente: Arcidiocesi di Pamplona-Tudela