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Boezio, consolato da Dio

​Nato a Roma dalla famiglia degli Anici verso il 480, in un’epoca di passaggio dal mondo romano a quello medievale, dalla cultura pagana a quella cristiana, Severino Boezio fu l’uomo del “trapasso”, che visse il travaglio del suo tempo animato dall’amore per l’armonia. Giovane brillante, intraprese la carriera politica, ma non trascurò gli studi filosofici e teologici, le lettere, la musica… Senatore a venticinque anni, fu suo ideale fondere i consolidati valori della cultura romana con i nuovi fermenti dei popoli che si affacciavano alla storia. Per le sue non comuni doti, il re Teodorico ebbe di lui grande stima. Tuttavia, in seguito a un’ingiusta accusa di complotto, ne ordinò l’incarcerazione che culminò nella condanna a morte, il 23 ottobre 524. Fu durante la prigionia che Boezio compose la sua opera più importante, il De consolatione philosophiae, “La consolazione della filosofia”, in cui egli, vittima del potere politico, dal buio del carcere seppe lanciare un messaggio di sublime sapienza agli uomini di tutti i tempi.

Dal suo scritto e dalla sua testimonianza traspare un tale fervore di fede e di carità da infondere coraggio nelle più gravi prove dell’esistenza. Il dolore, infatti, costituì per lui un potente stimolo alla ricerca di Dio. Contrariamente ai filosofi greci, sentì la divinità come Persona vivente. Perciò sulla storia non domina il Fato, ma Dio, buono e giusto. Non solo l’uomo, ma neppure le creature più piccole sono abbandonate alla loro triste sorte: sono sostenute da chi le ha create e le volge a buon fine, alla luce, anche attraverso un oscuro travaglio. Così, il tema della luce, come quello dell’armonia e della bellezza, con graduale crescendo, accompagna dall’inizio alla fine le pagine dell’opera, tracciando un arco luminoso, un ponte verticale, su cui lo spirito si libra sciogliendosi dalle angustie della vita presente per raggiungere la piena luce nella vera patria. Indimenticabili restano, nella basilica di San Pietro in Ciel d’Oro a Pavia, dove è sepolto, i versi a lui dedicati da Dante: «Lo corpo ond’ella [anima] fu cacciata giace / giuso in Cieldauro; ed essa da martirio / e da esilio venne a questa pace» (Par X, 127-29).
Con Severino Boezio possiamo perciò pregare dicendo: «Concedi, o Padre, che la mia mente ascenda all’augusta tua Sede, fa’ che attinga la fonte del bene e, raggiunta la luce, in Te gli sguardi dell’animo mio raccolga. Tu che ai pii sei Ciel sereno e tranquillo riposo; sol nel vederti è il fine, perché Tu sei il Principio, e sei allo stesso tempo per noi compagno e guida, via e mèta» (III, IX, 22-28). La nostalgia del cielo che brucia nel cuore dei santi è proprio questa.

di Anna Maria Cànopi