Bartolomeo l’uomo senza falsità
di Maria Grazia Riva
«Ecco davvero un israelita in cui non c’è falsità». Sono le parole di Gesù dirette a san Bartolomeo, riconosciuto dalla tradizione come il Natanaele del Vangelo di Giovanni. Bartolomeo infatti sembrerebbe un patronimico: bar-Tolmay, ovvero, in aramaico, “figlio di Tolmay”; mentre il vero nome dell’apostolo sarebbe appunto Natanael (Netan’el) che significa “Dio ha dato”. E Dio concesse davvero molto a Bartolomeo, che l’iconografia fotografa con un coltello in mano, strumento del suo martirio. La Legenda Aurea di Jacopo da Varagine narra gli incredibili miracoli operati dal santo e il dono, primo fra tutti, di ridurre al silenzio i demoni facendo crollare gli idoli. Questo suscitò le ire di un sovrano dell’India, ove si svolse la sua opera di evangelizzazione, il quale non si contentò di crocifiggerlo, ma prima che sopraggiungesse la morte lo fece scuoiare vivo.
Tanta fu la fama dell’apostolo che la Cappella Sistina era intitolata a lui, oltre che a san Lorenzo e a santa Maria Assunta, principale patrona del luogo. Così nel Giudizio Universale, sotto al Cristo sul lato destro, l’immagine possente che brandisce la pelle del martirio scrutando la Regina dei martiri è proprio la sua: il ritratto più famoso di san Bartolomeo. Michelangelo dovette rimanere impressionato dalla descrizione che la Legenda Aurea fornisce di lui: «Ha capelli neri cresputi, pelle bianca, occhi grandi e naso diritto, la barba spessa con qualche pelo bianco». Il Buonarroti non faticò certo a riconoscersi in questi brevi tratti, tanto da consegnare ai secoli il suo ritratto anamorfico nella pelle del santo. Qualcuno non è d’accordo, e pensa che quel volto minaccioso sia piuttosto il ritratto di Pietro Aretino, grande oppositore di Michelangelo. In realtà l’artista fiorentino non era nuovo a firmare le proprie opere con un autoritratto, come fece nella Pietà Bandini.
Qui, nel san Bartolomeo, la torsione del busto e il coltello puntato verso il Cristo Giudice che appare nel Cielo con la sua divina Madre, descrivono puntualmente il dramma dell’apostolo. Impavido assertore della verità del Vangelo, indifferente alle accuse, egli continuò la sua lotta contro gli idoli fino al martirio più cruento. Non è difficile immaginare quanto Michelangelo si potesse riconoscere in lui, per quella fatica immane del dipingere (arte a lui poco affine), per quell’affare della tomba di Giulio II che lo aveva fatto penare e, infine, proprio all’epoca dell’affresco del Giudizio Universale, per quelle critiche asprissime (specie da parte dell’Aretino) che lo portarono fino al Sant’Uffizio, tacciato di eresia. E forse si riconosceva anche negli elogi che Cristo rivolge a Natanaele: l’uomo senza falsità, l’attento conoscitore della Legge studiata all’ombra del fico. Sotto il fico infatti, a causa della conformazione singolare delle sue foglie che permettono di stare comodamente all’ombra avendo piccoli spot sulle pagine del libro, i rabbini erano soliti studiare la Torah. Inoltre il fico, per la menzione che la Genesi ne fa immediatamente dopo il peccato di Adamo (il quale fece cinture con foglie di fico), è considerato l’albero della sapienza. Tutto ciò era noto a Michelangelo, che negli affreschi della Cappella Sistina mise Adamo ed Eva sotto un albero di fico. Egli pure, dunque, si sentiva uomo senza falsità, attento scrutatore della Scrittura e della teologia.
La posa che conferisce Michelangelo al suo Bartolomeo sembra suggerire la volontà dell’apostolo di scendere dal suo Cielo e continuare senza sosta la sua missione fra gli uomini. Ed è pur vero che nel XIV secolo a Coimbra, mentre imperversava la peste, bussò alla porta di un convento di clarisse un pellegrino misterioso, riconosciuto dalle monache come Natanaele. Questi consegnò loro una delle più belle preghiere contro le pestilenze rivolte alla Vergine: Stella Coeli extirpavit, quae lactavit Dominum. Una preghiera efficace da cantare anche oggi in tempo di Covid.