Avvolti nel rotolo dell’Exultet tutti i profumi del Levante
Sono di ritorno da un viaggio nell’Apulia felix, e ne sono felice – ma anche malinconica, è durato troppo poco. Questa terra allungata, quasi coricata lungo il suo mare, quell’Adriatico non più selvaggio, come pensava D’Annunzio, ma sempre verde-bronzeo, che si avvicina alla sua fine e all’immersione nel Mediterraneo, fra mari di ulivi e distese di terre leggiadramente ondulate, castelli e teatrali scenari barocchi, da sempre mi è entrata nel cuore.
Ma quest’anno ho visto cose e paesi nuovi, ho incontrato persone nuove, vivaci e fantasticanti eppure concrete, piene di curiosità, di passioni, di forza. Alcuni vecchi amici, come Giorgio ed Édouard l’armeno-francese, e molti nuovi, come la bella signora dai capelli bianchi di Tricase, suadente raccoglitrice delle mie storie; e poi Nello il professore, col quale ho chiacchierato in gran confidenza durante una cena di frittini e parmigiana; e il terzetto del Mese della Memoria, Gilda, Annamaria e Marina, avveduti e affettuosi angeli custodi.
Eppure proprio l’ultima mattina, quando stavo per partire, mi è stato svelato un nuovo cuore segreto: la misteriosa, non esibita ma stupefacente bellezza degli Exultet del Museo Diocesano di Bari. Come un gentile messaggero, don Michele dal nome augurale mi ha guidato attraverso le tante bellissime opere raccolte nel museo, fino alla sala dove sono esposti tre meravigliosi manoscritti, i rotoli miniati che venivano letti e cantati dall’ambone durante le festività pasquali. Canto pasquale e annuncio della Resurrezione, esultanza del cuore che veniva appagata dalle magnifiche illustrazioni che si srotolavano davanti agli occhi dei fedeli mentre il diacono leggeva i testi.
La scrittura elegante e piana (la “minuscola beneventana”, mi è stato spiegato) dà l’impressione di un ritmo lineare e compatto, e a guardarla sembra quasi comprendersi facilmente. Ma non è così: questo linguaggio arcano, che si snoda come una musica, si svela solo agli iniziati. E poi ci sono le illustrazioni, e qui sono ritornata bambina. Mi pareva di essere anch’io in mezzo ai fedeli che nell’XI secolo ascoltavano le parole e guardavano le figure di questi libri arrotolati, che si rivelavano man mano ai loro occhi ammirati nello splendore dei colori e delle scene raffigurate. Mi pareva di immergermi nella Città Celeste.
Un’aria d’Oriente circolava fra le figure, un sentore di Bisanzio, una traccia sensibile dei monaci e mercanti che dall’Oriente venivano nelle contrade meridionali portando i loro costumi: parlavano in greco o in armeno, fondavano conventi e chiese, celebravano i loro riti ed esercitavano la mercatura. E i meravigliosi Exultet tracciati nella scrittura del ducato longobardo di Benevento accoglievano anche gli echi di questi fratelli d’Oriente, così che le luminose figure parlassero a tutti del prodigio della Resurrezione.
China sulle lunghe teche che li custodiscono, assorbivo l’aria colorata e serena di quei piccoli quadri vivaci e minuziosi, gustavo l’alternarsi di scene bibliche e di quadretti rurali, come l’allevamento delle api, disegnato con una specie di incantata felicità. E anche le ieratiche figure dei due imperatori bizantini, che mi fecero tornare in mente il Giustiniano di Ravenna, e il solare Cristo Pantocratore.
di Antonia Arslan