Adolescenti, inventori di città
Gli spazi urbani per una crescita equilibrata e, in negativo, l’effetto anonimizzante sulle marginalità giovanili sono stati l’oggetto di analisi di un recente convegno – organizzato dalla rivista “Animazione Sociale” e dal Tribunale per i minorenni di Roma – che ha riunito nella capitale esperti di adolescenza ed esperti di città. Per una città grande come Roma e dispersa in periferie spesso disperate è un tema molto attuale. Come fare in modo che chi vive al Tufello non abbia come unico riferimento quello di entrare a far parte di una delle gang giovanili, come evitare di cadere nelle spirali di droga e delinquenza? Al convegno si sono ascoltati i rapper del quartiere che cantano l’impossibile vita di periferia e si sono viste le foto prese da gruppi di adolescenti in giro per Roma e altre città a raccontare la propria esperienza. Gli adolescenti hanno bisogno di spazi dove sviluppare la loro socialità orizzontale e dove difenderla dall’intrusione dei “grandi”. Essere adolescenti significa costruirsi la propria individualità in dialogo e spesso in contrapposizione con la generazione di padri e madri.
Ovunque ve ne andiate in giro per città europee se avete un po’ di occhio scoprirete angoli nei giardini, parti di quartieri defilate, locali, dal fast food al venditore di kebab, che diventano il luogo di aggregazione di adolescenti. Un’età complicata, resa tanto più difficile dal fatto che l’infanzia è sparita inghiottita dalla “cucciolizzazione” dei bambini, trasformati in bambolotti per il piacere estetico degli adulti. L’infanzia “disneyzzata” ha spostato su un’altra età la differenza necessaria tra piccoli e grandi e ha concentrato sull’adolescenza tutta la carica “deviante” del crescere. Se le città non offrono più agli adolescenti spazi informali in cui riunirsi e riconoscersi, allora spesso questo riconoscimento avverrà in modo più nascosto, clandestino, con il pericolo di una segretezza che diventa esclusione. Uno dei motivi per cui è fondamentale che le città preservino i loro spazi pubblici “informali”, cioè privati di una precisa destinazione d’uso, è che uno dei lavori esercitati dalla adolescenza è proprio quello di ri-significare e appropriarsi degli spazi della città. Rebecca Solnit nel suo Storia del camminare (Bruno Mondadori, 2005) racconta come buona parte della poetica punk anglosassone sia nata nell’uso di luoghi abbandonati di città industriali: la San Francisco dei docks, la Detroit della General Motors. Gli adolescenti occupano le rovine industriali perché si identificano con le potenzialità che queste rappresentano, con la liberazione da un passato opprimente e lo sguardo verso un’altra possibilità.
di Franco La Cecla