pezzo di tela
Se l’arte antica ha posto l’accento sul tempo che fugge, quella moderna ha esplorato la dimensione assoluta
Tante volte l’arte ha rappresentato il concetto di tempo. Se si provasse a indagarne l’iconografia, si finirebbe per stilare un censimento di gran parte della storia della pittura. Pensiamo, per fare l’esempio più ovvio, alle vanitates, cioè alle nature morte che rappresentano la caducità delle cose di questo mondo, secondo quello che insegna la Bibbia: «Vanitas vanitatum et omnia vanitas» (Qo 1,2; 12,8). Raggiungono la massima fortuna nel Seicento e rappresentano il tempo attraverso i simboli della morte (il teschio, la candela spenta, gli strumenti musicali abbandonati e impolverati, i fiori appassiti oppure nel loro effimero rigoglio, la frutta bacata) e attraverso gli strumenti di misurazione del tempo stesso, come l’orologio o la clessidra.
La modernità si è spesso compiaciuta del momentaneo, del precario, insomma dell’attimo fuggente, come ad esempio nell'Impressionismo. Ma non tutto il moderno è così. Il Ritorno all’ordine, come viene chiamata l’arte di ascendenza classica che si diffonde in Europa fra le due guerre del Novecento, promuove anzi il recupero di una nozione di tempo assoluta. Se l’en plein air aveva raffigurato il momento, e il futurismo e il cubismo la continuità degli istanti, il classicismo moderno aspira a rappresentare una dimensione di eternità
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di Elena Pontiggia