Pellegrino della speranza, cantore dell'umanità
Un ritratto di Montini, cardinale e papa, nei ricordi di Loris Capovilla. Il rapporto con Roncalli, il Concilio, lo sguardo nel futuro, il cuore nella carità
L’accoglienza di Paolo VI in occasione di una udienza speciale negli appartamenti vaticani. Dietro lo stipite, il suo segretario, don Pasquale Macchi (settembre 1964).
Quando il 1° novembre 1954 la notizia della nomina di Montini ad arcivescovo giunse ai cardinali e agli arcivescovi presidenti delle Regioni conciliari italiane riuniti a Pompei, Roncalli esternò subito i suoi sentimenti: stupore, prima di tutto, per l’inatteso evento, mentre egli immaginava più probabile la creazione cardinalizia di Montini con la nomina a segretario di Stato; felicitazioni per Milano, cui era destinato un degno successore del cardinal Schuster; e quindi anche dispiacere, perché in Segreteria di Stato veniva meno un incomparabile operatore. Roncalli sembrava chiedesse a Pio XII perché si fosse privato di un così valido collaboratore, dove avrebbe trovato un altro tessitore di rapporti come lui, chi avrebbe potuto imitarne lo stile inconfondibile nella redazione di documenti e lettere.Alla morte di Pio XII, il cardinale Roncalli visse i novendiali e le Congregazioni generali preparatorie del conclave col rammarico dell’“assenza” di Montini. Non riusciva a capacitarsi perché Pio XII avesse lasciato trascorrere il 1955, il 1956, il 1957, i primi 9 mesi del 1958 senza decidersi a un terzo concistoro per la creazione di cardinali. Sul partire da Venezia confidò a più d’uno: «Se Montini fosse cardinale, il mio voto andrebbe, senza alcun dubbio, a lui».
di Loris Francesco Capovilla
*cardinale, già segretario di papa Giovanni XXIII