Il paradiso di Masaccio
In mostra a Padova la collezione
del cardinale letterato, suoi "arnesi"
nella riscoperta della classicità
Giorgione (attribuito), Ritratto d’uomo
con un libro verde (XVI secolo), olio su tela.
San Francisco, Fine Arts Museums
Raffaello Sanzio, Ritratto di Elisabetta Gonzaga
(1504-1505), olio su tavola. Firenze, Galleria degli Uffizi
Giulio Clovio, Commentario alle lettere di San Paolo ai Romani. La conversione di Paolo (XVI secolo), miniatura. Londra, Sir John Soane's Museum.
Hans Memling, Calice di san Giovanni Evangelista (1470-1475 circa), oil su tavola. Washington, Samuel H. Kress Collection.
Hans Memling, Dittico Bembo. La Veronica (1483 circa), olio su tavola. Washington, National Gallery of Art.
Giorgione, Ritratto di giovane (1500 circa), olio su tavola. Budapest, Museo di Belle Arti.
Sebastiano del Piombo, Cristo portacroce (1529 circa), olio su tela. Madrid Museo del Prado.
Può sembrare una scommessa azzardata organizzare una mostra d’arte centrata sulla figura di un letterato. Ma Pietro Bembo non è solo il legislatore della lingua italiana, l’autore degli
Asolani (1505) e delle
Prose della volgar lingua (1525), ma anche il collezionista, l’amico di Raffaello e Sansovino, il testimone d’eccezione di una stagione cruciale dell’arte italiana.La mostra "Pietro Bembo e l’invenzione del Rinascimento" riporta a Padova le opere che Bembo riunì nella propria casa nella colta città universitaria, dove egli abitò per quasi vent’anni fra il 1521 e il 1539. Il prestigio del Bembo letterato e la singolarità della sua collezione fecero sì che essa divenisse meta di numerosi ed illustri visitatori: la casa divenne, nelle parole dei contemporanei, tempio sacro a Minerva, albergo dei virtuosi, vero e proprio
musaeum. In parte ereditata dal padre Bernardo, politico e diplomatico ma anche fine umanista, la collezione raccoglieva dipinti di altissima qualità, sculture antiche, bronzi, gemme, monete, vetri, manoscritti, strumenti scientifici. Ne conosciamo bene il contenuto grazie alla descrizione che ne fece un altro patrizio veneziano amante dell’arte, Marcantonio Michiel, che la visitò più volte a cavallo fra anni Venti e Trenta del Cinquecento. Dal padre Pietro aveva sicuramente ereditato il dittico di Hans Memling, riunito per la prima volta in Italia nelle due valve oggi conservate a Washington e a Monaco. Fra i suoi dipinti spicca il
San Sebastiano di Andrea Mantegna oggi alla Ca’ d’Oro, che era rimasto nella bottega dopo la morte del pittore e perviene nelle mani di Bembo forse per il tramite di Isabella d’Este, marchesa di Mantova, a lui legata da grande amicizia. Accanto ad esso il
Doppio ritratto di Andrea Navagero e Agostino Beazzano di Raffaello, dipinto a Roma nel 1516, che Bembo custodiva nella dimora padovana quasi per continuare la conversazione con i due amici lontani. Assieme ai dipinti si riuniscono le statue antiche, le teste di Antinoo, di Caracalla, di Bruto e Domiziano, i bronzetti, una famosa corniola incisa di Dioscoride, le iscrizioni antiche e le monete greche e romane.
testo di Guido Beltramini, Davide Gasparotto e Adolfo Tura
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