Wendy Beckett
Intervista alla religiosa e critica d’arte. Dalla vocazione, limpida fin dall’infanzia, alla scoperta della pittura: il racconto di un’esistenza in ascolto
“Non direi che mi sono “dedicata” alle arti. Successe che, nel 1980, mi ammalai e non riuscii più a fare le traduzioni dal latino medioevale, che fruttavano qualche soldo per il convento di suore carmelitane che mi ospitava. Le suore devono guadagnarsi da vivere! Chiesi alla superiora se potevo trascorrere la convalescenza guardando dei volumi d’arte e aggiunsi, fatalmente per me, ma guidata dalla mia coscienza, che avrei fatto questo con l’intenzione di scrivere io stessa un libro. Come vedete il mio amore per le arti, che è sempre stato grande, è stato all’inizio puramente funzionale. Ha mantenuto questo aspetto funzionale come forma di guadagno, ma, naturalmente, si è approfondito infinitamente e meravigliosamente come modo di condividere con le persone la bellezza di Dio. Nei miei primi testi stavo attenta a non usare il nome di Dio, così che coloro che non credevano non si sentissero esclusi. Sono convinta che, quando rispondiamo alla bellezza, di qualunque tipo essa sia, è Dio che ci attira verso di Lui e, dal momento che questo apostolato è arrivato “per caso”, non mi sono mai sentita libera di respingerlo. Certo, preferirei vivere l’arte per il mio piacere personale, come parte, minima, di una vita di preghiera; ma, fino a quando posso aiutare altre persone a trovare Dio, non mi ritengo libera di seguire i miei desideri. Anche se ormai sono così debole che questo sacrificio non mi viene più richiesto”.
Lei ha studiato in particolare le icone e l’arte medioevale: in entrambe l’orizzonte è la presenza del divino e l’arte è pensata, quasi esclusivamente, per la liturgia e per la preghiera. Cos’è un’icona per lei?
“Sono arrivata tardi all’amore per le icone perché era difficile inserirle dentro la storia dell’arte. Non riuscivo a decidere se erano arte o teologia. La risposta, naturalmente, è che sono entrambe. Mentre noi, nella Chiesa occidentale, tendiamo a esprimere la nostra teologia a parole, con i libri, la Chiesa orientale spesso la esprime con immagini, con le icone. Quando guardiamo un’icona entriamo in comunione con Dio. È preghiera. Ci muoviamo, attraverso l’immagine, dentro il mondo del Figlio incarnato di Dio. Lui stesso è descritto, nelle Scritture, come una “icona”, l’immagine del Padre invisibile. Ogni incontro con Gesù ci fa attraversare la Sua umanità nell’ineffabile mistero di Suo Padre. E qualcosa di così profondo avviene quando contempliamo un’icona. Come si può immaginare, questa è un’esperienza così coinvolgente che non ci sono parole in grado di descriverla o, perlomeno, parole che io sia in grado di trovare. Uno non prega “le” icone ma “attraverso” di loro. Ho icone qui nella mia cella e pregano con me. Pregano tutto il tempo attirandomi in quel mondo al quale appartengono”.
di Giovanni Gazzaneo e Silvia Guzzetti