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Vita, umana meraviglia

Ogni nascita riempie di stupore perché è filosoficamente apertura al possibile

​Elio Franzini


Di fronte alla nascita ci si pone in atteggiamento di gioia. Un medico, un neurologo, uno scienziato senza dubbio ci direbbero che, quando si incontra un bimbo, nelle persone si scatena una reazione fisiologica “positiva”, che induce alla “cura”. Vi è infatti qualcosa di istintuale nel contemplare lo schiudersi di una nuova vita e, nel guardare un bambino, ogni bambino, sorge il desiderio di assisterlo, curarlo, proteggerlo. È certamente qualcosa di insito nella nostra struttura genetica oltre che nella psiche: ma, al di là di ciò, non si può non osservare che tali reazioni sono come potenziate nell’atteggiamento di attesa insito nella nascita. L’aspettativa è sempre connessa a un sentimento forte e radicato, generalmente associato a una sensazione di piacere, la cui fonte è la novità, un “novum” che si apre di fronte a noi, il senso di uno sviluppo che spezza la staticità che nel quotidiano sembra a volte attanagliare le nostre vite. Il bambino induce un senso di sviluppo: un essere che prima non c’era, subito si forma, cresce, diviene. Una realtà nuova che è “figlio”, sempre legato a un atto di amore, partecipazione, condivisione.
Anche al di là del fatto, la presenza di un bimbo rimanda alla positività dell’unione tra due persone. E l’amore – lo si vede sempre nella storia e ovunque nel mondo – è connesso alla sensazione di piacere: quel piacere che deriva dalla ricerca di una completezza da cui ci sentiamo così spesso lontani. In questo motivo, tra gli altri, si pone la rilevanza estetica della nascita, che sempre tocca e cambia le nostre vite. Il lato estetico peraltro è anche legato alle fattezze dei neonati. Senza richiamare il filosofo Burke, che nel Settecento associava la bellezza alla piccolezza, il piccolo appare bello anche perché i suoi caratteri fisici hanno una particolare indeterminatezza: l’assenza di una forma compiuta non è vissuta infatti come incompletezza, bensì come archetipo del possibile, immagine in divenire di una tenerezza nuova – quella stessa che nell’arte appare sempre nelle Maternità – che genera quell’insieme di sentimenti che parlano di bellezza, di pace, di calma, di gratitudine, di speranza.

 

Uova, l'inizio della forma
La foggia, la dimensione, il colore: varietà infinite per custodire la vita
Laurent Vallotton

Verso i sei-sette anni, intorno al 1920, il piccolo Werner Haller (1913-1980) scopre la sua passione per la storia naturale. È affascinato dalla geologia e dalla bellezza degli alberi, ma sono gli uccelli a incuriosirlo di più, e in particolare le uova. Suo padre, un contadino di Rothrist, nel cantone di Berna, accoglie freddamente le velleità del figlio. Ricordiamo che è appena finita la guerra, che i primi anni Venti furono un periodo di crisi e che la storia naturale non era per così dire “alla moda”! Werner aveva giurato che avrebbe raccolto la più bella collezione di uova al mondo, impresa che gli è quasi riuscita. La collezione Haller è oggi conservata in Svizzera, nei musei di storia naturale di Ginevra e di Berna. Comprende quattordicimila covate, per un totale di circa quarantasettemila uova provenienti da tutto il mondo. Werner Haller ne ha raccolta una parte relativamente modesta; il grosso è stato acquisito negli anni Cinquanta dal tedesco Paul Henrici (1880-1971) e dal canadese Archibald D. Henderson (1877-1963).
La parte della collezione Haller che si trova al museo di Ginevra conta 8.513 covate di 1.049 specie diverse di uccelli, per un totale di 29.235 uova. Vi sono rappresentate tutte le principali tipologie di uova per forma, struttura e superficie, disegni e colori. La collezione contiene tesori inestimabili come le covate di due specie oggi scomparse a causa dell’uomo, il piccione migratore e l’uccello delle tempeste di Guadalupe.
La collezione si distingue anche per la sua estensione storica e per la qualità del materiale e delle informazioni scientifiche correlate (data e luogo di raccolta, schede di campo, eccetera). In effetti, oltre alla loro bellezza, le uova sono sempre più ambite per ricerche ambientali (cambiamenti climatici, abuso di pesticidi), storiche (antica ripartizione dei nidificatori) o genetiche. È in questo fragile patrimonio che si è calato il fotografo Paul Starosta, scoprendo perle che spesso solo un ingrandimento permette di valorizzare.
Negli uccelli la capacità di volare può essere misurata a partire dalla forma delle ali: i più veloci in volo sono quelli che hanno le ali più appuntite. Uno studio recente ha dimostrato che la forma delle uova è strettamente correlata alla forma delle ali: le specie più forti nel volo sono quelle che fanno le uova più ellittiche (allungate più che sferiche) o asimmetriche (con una punta più appuntita e una più arrotondata). Gli uccelli dal volo potente hanno in generale un corpo profilato e aerodinamico che comporta trasformazioni dello scheletro incompatibili con la covata di uova “grandi”. Così, per questi atleti del volo, l’unico modo di ottenere un uovo di volume sufficiente è semplicemente quello di allungare il guscio.

 

Semi, l'origine del tutto
Minuscoli, potentissimi, indistruttibili. La vita non è mai stata così bella
Leonardo Servadio

Sembra che il luogo delle favole sia lontano, in quella dimensione del tempo infantile che resta come un sogno da dimenticare nell’incalzare della realtà, con le sue urgenze e le sue necessità. I semi ci dicono che non è così: la favola è qui, raccolta nel segreto della vita. Come può, da un chicco, a volte microscopico, a volte chiuso in una capsula difensiva, nascere uno splendido fiore come l’orchidea, o un gigante come la sequoia che lambisce in alto il cielo?
La scienza descrive con crescente precisione come si dispiega quel potenziale immenso che chiamiamo vita. Ma, come diceva Kant, il più modesto filo d’erba mette in scacco il meccanicismo: c’è qualcosa che sfugge al pensiero razionale. E questo sembra valere anche ai nostri giorni, quando la biologia molecolare giunge a proporre di intervenire nei misteri più reconditi del vivente. Per quanto si sappia già tanto della doppia elica del Dna, sempre resta la meraviglia di quel fiorire infinito di forme generate dai semi. Nella cui magia, conoscenza scientifica e ammirazione estetica vanno assieme: vi si ritrova la poetica della natura, l’essenza stessa della sua capacità creativa.
Tanto è meraviglioso l’impulso racchiuso nel seme che il Vangelo lo paragona al Regno dei cieli: come scrive Luca, questo è «simile a un granellino di senapa, che un uomo ha preso e gettato nell’orto; poi è cresciuto e diventato un arbusto, e gli uccelli del cielo si sono posati tra i suoi rami» (Lc 13,18-19). Immobili come sono, i semi sanno viaggiare per migliaia di chilometri. Alcuni portati dal vento, come accade a quelli dell’acero o dell’abete rosso, dotati di ali rigide e leggere, o a quelli del pioppo o del dente di leone, dotati di piume: questi ultimi sbuffano via al minimo spostamento d’aria tanto che la loro pianta è chiamata anche “soffione”. Alcuni son trascinati dai flussi di fiumi e torrenti, o dalle correnti marine, come accade alle castagne d’acqua o alle noci di cocco.
Vi sono poi semi che opportunisticamente usano gli animali per scroccare un passaggio: agganciandosi al pelame tramite uncini, come quelli della cariofillata comune, o transitando intatti nel loro apparato digerente, com’è accaduto ai meli che dall’Asia centrale si sono diffusi in tutto il mondo dall’epoca dell’ultima grande glaciazione. Per non dire di quei semi che hanno viaggiato attraverso il tempo, a volte superando millenni, com’è accaduto a quelli di una palma da dattero estintasi nel Medioevo e riportata in vita dopo che alcuni semi vecchi di duemila anni sono stati ritrovati da archeologi israeliani nei resti della fortezza di Masada. A volte superando ere geologiche, come i semi che furono riposti tra ventottomila e trentaduemila anni fa da alcuni scoiattoli nella loro tana lungo le rive del fiume Kolyma, in Siberia: sono stati trovati sotto il permafrost e, opportunamente rinvigoriti, hanno fatto nascere una pianticella prima sconosciuta, chiamata oggi Silene Stenophylla.