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Viaggio in Friuli, dove la storia è vita

Dai mosaici di Aquileia alla luce di Grado, da Cividale capitale longobarda alla grande abbazia di Sesto al Réghena

​Stefano Zuffi

Il lungo arco dell’autostrada A4 taglia veloce la pianura del Friuli Venezia Giulia in direzione di Trieste, seguendo da lontano il profilo della costa. Verso nord si staccano, uno dopo l’altro, i “denti” diretti a Pordenone, Udine e Gorizia, intervallati a loro volta dagli ampi greti del Tagliamento e dell’Isonzo. Il nostro itinerario attraversa da ovest a est l’intero Friuli: il punto d’ingresso occidentale è il borgo di Sesto al Réghena, vicino a Portogruaro, e l’arrivo, all’estremità opposta, è Cividale; in mezzo, l’asse verso sud, che passa per Aquileia e arriva all’Adriatico a Grado. Queste le coordinate della geografia. La storia ci consiglia di partire dal centro, da Aquileia.
Ai tempi dei Romani, l’ambra partiva dalle regioni fredde e lontane del Baltico, attraversava l’intera Europa e arrivava al porto fluviale di Aquileia, per prendere poi le rotte dell’Adriatico. Aquileia, la grande, bellissima, ricca città, una delle più popolose e cosmopolite di tutto l’Impero: per la sua importanza come nodo commerciale e per la vivacità del suo contesto sociale, un centro fondamentale per la diffusione del cristianesimo. Secoli di splendore, di agi, di bellezza, mentre l’Impero si spegneva in un lungo tramonto. E poi, dall’inizio del V secolo, il terrore. Da nord-est calano i barbari, diretti alle lagune: cavalcano inarrestabili sulle comode strade lastricate e rettilinee, come la Postumia, saccheggiano tutto con il miraggio lontano ma non irraggiungibile di scendere fino a Roma. Gli abitanti di Aquileia costruiscono nuovi spalti sopra le mura, rabberciando alla bell’e meglio le difese. Per due volte resistono alla calata di Alarico, ma poi, nell’anno funesto 452, Attila espugna la città, la devasta fino alle fondamenta, e pare che abbia davvero gettato il sale sulle rovine, perché Aquileia non rinascesse mai più. Gli abitanti si rifugiano sulle isole di Grado, tranne un pugno di coraggiosi, stretti intorno al vescovo (che dal 698, dopo il cosiddetto “scisma dei tre capitoli”, assume il rango orientale di “patriarca”). Della magnifica città rimangono sparse, solitarie rovine: ancora oggi molti resti sono sotto terra. La struttura urbana è comunque ben riconoscibile, e il poderoso, alto campanile della basilica è un perfetto punto di osservazione. Lungo la via che attraversa l’intero campo di scavi si levano i colonnati del Foro, fronteggiati da un alto monumento funerario a cuspide. Ai due lati si riconoscono le fondamenta di case e di oratori paleocristiani, talvolta con pavimenti a mosaico; poco più in là, i resti dell’anfiteatro, e un suggestivo sepolcreto di famiglia. Poco resta dei complessi monumentali che rendevano dolce la vita degli abitanti di Aquileia: le terme, la palestra, il circo.
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