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Uomini e spiriti della Val d'Orcia

Da fra Alberto Berdini a Enea Silvio Piccolomini, papa Pio II, storie di uomini nate in una terra difficile e grandiosa

​Franco Cardini

La Val d'Orcia, quasi del tutto appartenente alla provincia di Siena ma con un piede in quella di Grosseto, non è forse la più nota tra le belle subregioni della bellissima Toscana ma è forse, almeno per molti versi, la più affascinante.
Terra di centri demici bellissimi, ma sparsi e poco popolosi, è distante dai tre grandi poli culturali della regione – Firenze, Pisa e Siena – ma in cambio animata da due grandi direttrici viarie, la Cassia e la Francigena: e fino dall’età etrusca è attraversata da viandanti e da mercanti. Per alquanti motivi, chi l’ha visitata ha lasciato su di essa un’impronta più importante ancora di coloro che vi sono nati e cresciuti. Abbiamo testimonianze del tardo XII secolo che lo ricordano in quell’area in rapporto al processo di canonizzazione di san Galgano.
Può considerarsi nativo della Val d'Orcia, nel XIII secolo, quel Ghino di Tacco senese, castellano di Torrita e di Fratta, che i suoi avversari conti Aldobrandeschi di Santa Fiora costrinsero all’esilio dalla sua città natale; egli allora, impadronitosi della rocca di Radicofani alta su un isolato cono vulcanico, si dette alla vita del bandito meritando di esser menzionato da Dante e dal Boccaccio.
Ma tra la gente di Val d'Orcia – terra di fieri e indomiti libertari – i personaggi più interessanti furono dei religiosi o comunque legati alla fede cristiana. Così Alberto Berdini, nato nel 1385 a Sarteano, frate minore conventuale allievo del Guarino che, affascinato dalla personalità di san Bernardino da Siena, passò poi agli osservanti, appunto, senesi abbracciando poi la missione del predicatore.
Non dimenticava tuttavia la sua vocazione umanistica. Amico del Guarino, del Niccoli, del Salutati e del Traversari, fu incaricato verso il 1433 da Cosimo de’ Medici di recarsi a Napoli alla ricerca di pregiati codici. Anche nella famiglia estense di Ferrara egli contava amici ed estimatori.
Tale era la sua fama che nel 1435 papa Eugenio IV lo inviò presso l’imperatore di Costantinopoli e i capi delle Chiese cristiane orientali per invitarli a partecipare al concilio allora in corso. Nonostante al sua ignoranza dell’arabo egli partì e lavorò egregiamente, al punto da venir nominato dal papa, il 22 agosto 1439, commissario apostolico in partibus Orientalibus (specificamente in India, Etiopia, Egitto e Terra Santa) numendolo in particolare di messaggi per il Presbyter Iohannes, cioè il leggendario Negus d’Europa – in quel momento il grande Zara Jakub.
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