Un mare di volti
Nelle aule della scuola Penny Wirton a Roma la vita sale in cattedra e insegna, tra immigrati e giovani italiani, il valore dell’educare
Eraldo Affinati
Tornare a insegnare guardando negli occhi i nostri studenti, senza la mediazione degli schermi dopo quasi due anni di pandemia, è meraviglioso: come quando da bambini risalivamo in bicicletta alla fine di una lunga malattia e scoprivamo, con sorpresa e stupore, che sapevamo ancora farlo, avendo temuto di non esserne più capaci. Il vento ci accarezzava il volto e noi pedalavamo sullo sterrato della campagna intorno a casa con rinnovato entusiasmo quasi fosse la prima volta.
È questa la sensazione che ho provato vedendo David Hoshodin, quarantenne nigeriano della periferia di Lagos, scendere dalla rampa di Casal Bertone, a Roma, dove si trova la Penny Wirton, scuola gratuita di italiano per migranti. Il sole torna a brillare, ho detto a me stesso, adesso dobbiamo riprendere a camminare con fiducia e determinazione. È stato proprio quest’uomo carico di passione vitale l’avanguardia dei nostri scolari. Vederlo pronto a firmare sul registro delle presenze il suo arrivo ufficiale, con il doveroso green pass, a stento trattenendo il sorriso sotto la mascherina, ci ha dato la forza di cui avevamo bisogno. Sono bastate poche battute per conoscerlo e guidarlo verso il banco dove lo attendeva il volontario che gli abbiamo destinato. David è un vero entusiasta, con una voglia di fare che mette allegria. Ha dichiarato di essere musicista. Per provarlo mi ha mostrato un video sul cellulare in cui lo si vedeva suonare la chitarra insieme alla sua band scanzonata. «Grazie a Dio», si è affrettato ad aggiungere, sguardo in su e pollice alzato, con l’ammirevole solennità africana: il rispetto ossequioso e gerarchico nei confronti dell’alterità che noi moderni abbiamo perso nei fumi nebbiosi del relativismo, dimenticando per sempre la centralità organica di matrice dantesca.
Ho ripensato alla terra da cui proviene: oggi è sufficiente andare su YouTube per immergersi nella frenesia vorticante della sua tumultuosa città in riva all’Oceano Atlantico, percorsa da centinaia di motorini strombazzanti notte e giorno, senza soluzione di continuità. Si fa presto a comprendere il salto culturale che David sta compiendo sotto i nostri occhi passando da un universo all’altro, attraverso forme verbali che dentro e fuori di lui entrano in rapporto e fanno scintille guidandolo alla pronuncia delle frasi, alla coniugazione dei verbi, alle migliori scelte lessicali. Igbo, inglese e italiano, idiomi che convivono nella fantastica dimensione espressiva di questo studente, si trasformano in carte di un gioco sconosciuto che fra pochi mesi gli consentirà di parlare con gli altri, augurabilmente trovare lavoro e chissà, forse diventare nostro concittadino.
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