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Un cantico che risuona nei secoli

L’invenzione della “lauda” in volgare e i tanti brani a lui ispirati nel Novecento sono l’eco della voce stessa di Francesco

​Andrea Milanesi

a dolcissima melodia dello spirito gli ferveva nel petto, si manifestava all’esterno con parole francesi e la vena dell’ispirazione divina, che il suo orecchio percepiva furtivamente, traboccava in giubilo alla maniera giullaresca…». Come testimonia questa fedele cronaca “in presa diretta” di Tommaso da Celano, non esiste biografia su san Francesco che non si soffermi sul profondo e indissolubile legame che il Poverello di Assisi ha sempre intrattenuto con la musica. Cresciuto tra giostre e tornei, tra le ballate d’amore dei trovatori provenzali e gli stornelli del Calendimaggio assisiate, con le sue laudi e le sue preghiere Francesco ha dato vita alla colonna sonora ideale di un messaggio di rinnovamento spirituale a dir poco rivoluzionario; al suo fianco, gli inseparabili frati ioculatores Domini, quei “menestrelli di Dio” con cui percorreva le strade glorificando il Signore con canti gioiosi, considerati strumenti privilegiati per avvicinare al Padre il maggior numero possibile di fedeli.
L’anima di Francesco ha sempre vibrato al suono della musica, come ci ricordano ancora le cronache del tempo: «V’erano dei momenti, delle ore intere, in cui una grande letizia gli saliva dall’anima come un canto. Allora egli stesso cantava dolcemente la melodia che sentiva dentro di sé, e la cantava in francese, come quando andava con frate Egidio ad annunziare il Vangelo. E sempre più distinta risuonava la melodia celeste e sempre più forte saliva in lui. Talvolta, raccattava da terra due pezzi di legno qualunque, ne appoggiava uno alla guancia, come se fosse stato una viola, e lo sfregava con l’altro come un arco».
Nella vita del santo il canto ha dunque sempre ricoperto un ruolo di primissimo piano, forma e contenuto imprescindibili di uno stile di predicazione nuovo e diretto, ricco di vigore e spontaneità, di forte carica emotiva e devozionale. Alla figura di Francesco vanno infatti ricondotti con ogni probabilità i primissimi esperimenti di lirica religiosa interamente in lingua volgare: le sue Laudes Creaturarum (conosciute anche come “Cantico di frate sole” o “Cantico delle Creature”) sono considerate il testo poetico più antico della letteratura italiana di cui si conosca l’autore. E per di più dovettero essere anche certamente cantate, come dimostra la presenza dei righi musicali (purtroppo rimasti privi di notazione) in un antico codice conservato nella Biblioteca Comunale di Assisi.
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