Turoldo, profeta del buio della Parola
Il 22 novembre 1916 nasceva il servita in lotta con Dio, chiamato alla poesia
Lo ascoltavi e la sua parola apriva spazi al volo. Con lui ho rivissuto l’esperienza dei discepoli di Emmaus, quando si dicono l’un l’altro: «Non ci bruciava forse il cuore per strada mentre ci spiegava le scritture?» Ascoltarlo era rimanere accesi. Regalava stupore, quella esperienza felice che scardina gli schemi, che si inserisce come una lama di libertà in tutto ciò che ci satura. Sapeva liberare la Parola da ogni sequestro ecclesiastico. La faceva vibrare nella vita. E proprio perché entrava nella vita, la sua non era una parola neutra: il Vangelo non è né pallido né evanescente. Ha forma, ha colore. Per questo la predicazione di David Maria Turoldo, segnata da passione accesa per Dio, per il popolo, per gli ultimi della terra, non poteva non suscitare, come ogni parola profetica, consensi e ripudi, accoglienza e ostilità. Dentro e fuori la Chiesa. Dentro la Chiesa e dentro la società.
Era un poeta e Carlo Bo ne ha dato una definizione insuperata: «Dio ha dato a padre David due doni, la fede e la poesia; e dandogli la fede gli ha imposto di cantarla tutti i giorni». Non restano di lui grandi testi dottrinali, restano passione e bellezza, pathos e cosmos, vitali e coinvolgenti, matrice della sua poesia. In esergo alla raccolta poetica ultima ha scritto:
la vita che mi hai ridato
ora te la rendo nel canto.
ora te la rendo nel canto.
Per lui poetare e pregare erano la stessa cosa. E questo gli ha regalato la capacità rarissima di saper parlare a credenti e non credenti. Perché nei suoi versi raccontava il mistero di Dio dentro il torrente della vita.
In punta di piedi entriamo nella sua poesia, facendoci accompagnare da alcuni versi.
I poeti sono un po’ impertinenti: bussano e ribussano alla porta del lettore, insistenti, non si accontentano di una conoscenza superficiale, hanno fame di amici. Se dai retta a un poeta e lo ascolti, non te ne liberi più: lo assimili ed entra a far parte di te, e quando meno te l’aspetti ti scopri a pronunciare un suo verso, a ricordare una sua parola, credendo che sia tua. E io non me ne sono più liberato, felice prigioniero.
In punta di piedi entriamo nella sua poesia, facendoci accompagnare da alcuni versi.
I poeti sono un po’ impertinenti: bussano e ribussano alla porta del lettore, insistenti, non si accontentano di una conoscenza superficiale, hanno fame di amici. Se dai retta a un poeta e lo ascolti, non te ne liberi più: lo assimili ed entra a far parte di te, e quando meno te l’aspetti ti scopri a pronunciare un suo verso, a ricordare una sua parola, credendo che sia tua. E io non me ne sono più liberato, felice prigioniero.
di Ermes Ronchi